Karl Rahner su Vitae fratrum

Review: "Karl Rahner. Il Concilio tradito"

Come ho anticipato, propongo qui una recensione di una monografia che affronta temi al centro del dibattito teologico odierno e che ci permette di vedere nella pratica la funzione che Tommaso attribuisce allo studio: l'essere cioè un antidoto agli errori in materia di fede (cfr. Summa Theol. IIa-IIae, qu. 188, art. 5).
Il libro “Karl Rahner. Il concilio tradito” di padre Giovanni Cavalcoli (Fede e Cultura, Verona, 2009) si propone di sviluppare una critica puntuale e serrata del pensiero del teologo tedesco.
Iniziata la lettura di questo libro, mi è nata la curiosità di verificare se non fosse possibile dare del teologo gesuita una lettura che sfuggisse alle critiche che padre Cavalcoli gli muove. Ho letto perciò il Corso fondamentale sulla fede dello stesso Rahner, vera summa del suo pensiero, per farmi un giudizio autonomo. L’impressione che ne ho ricavato tuttavia è che la ricostruzione fornita dal padre Cavalcoli sia corretta e fedele ai testi del gesuita tedesco. E le critiche che sono mosse al pensiero di Rahner, così ricostruito, sono indubbiamente ben argomentate, come cercherò di mostrare in questa recensione.
Ma chi era Karl Rahner? E che cosa ha detto? E soprattutto: che senso ha per noi parlare di questo autore?
Devo ammettere che le mie conoscenze riguardo a questo autore non sono ancora molto ampie. Qualche mese fa, trovandomi in Germania, incominciai Geist in Welt e mi parve, dallo stile un po' fumoso, ma a suo modo affascinante, di aprire un libro di Heidegger.
L’incipit del saggio è assai coinvolgente: l’uomo è colui che si pone domande, fino al punto da essere quasi definito dal suo dal suo stesso interrogarsi. In questo non si può che dare ragione a Rahner. L'uomo è effettivamente aperto all'Assoluto e si pone sempre quelle domande che Leopardi ha messo in bocca al suo pastore errante dell'Asia:
"e quando miro in cielo arder le stelle;
dico fra me pensando:
a che tante facelle?
che fa l'aria infinita, e quel profondo
infinito seren? che vuol dir questa
solitudine immensa? ed io che sono?"
Proprio in quanto uomini siamo naturalmente portati a porci queste domande. Tommaso parlava di "desiderium naturale videndi Deum" (concetto tuttavia spesso frainteso e su cui torneremo).
A differenza però del grande Recanatese e dell'Aquinate, Karl Rahner si dilunga su questo concetto, giocherellando lezioso sul termine “Fragende” con cui ha definito l'uomo. Il libro vorrebbe essere un ripensamento della gnoseologia tomista, che è riletta in chiave immanentista, come mostrò con dovizia di dettagli un bel libro di p. Cornelio Fabro, che oggi è purtroppo assai difficile da trovare. Nonostante Rahner si riprometta di interpretare un brano della Summa Theologiae, i veri riferimenti della sua riflessione sono Kant e soprattutto Heidegger. Sebbene non siano mai nominati, chi non è proprio digiuno di filosofia riconosce facilmente i punti di riferimento del gesuita. Il che non sarebbe in sé un male - è giusto e doveroso confrontarsi col pensiero moderno e contemporaneo. Se non fosse che il quadro che ne emerge è l'attribuzione a Tommaso di una epistemologia immanentista. Il che è inverosimile dal punto di vista storiografico. E assai pericoloso se su queste basi fragili ed erronee si vuole fondare una teologia.
Dopo poche pagine, annoiato e forse scoraggiato dal tedesco, richiusi il libro.

Qualche mese dopo leggo una recensione del libro di padre Cavalcoli su Rahner. Lo compro e inizio a leggerlo. Cavalcoli da un lato riconosce a Rahner profondità di pensiero e originalità speculativa, ma dall’altro accusa la sua teologia di essere uno dei responsabili di quella ermeneutica che vede il Concilio Vaticano II come rottura rispetto alla tradizione della Chiesa. Questa interpretazione, come è noto, è stata respinta da Benedetto XVI, che non si stanca di sottolineare come l'insegnamento del magistero della Chiesa non si contraddice e non ci possono essere "rotture" all'interno della Chiesa, né in senso sincronico, né in senso diacronico. Già in Rapporto sulla fede, l'allora cardinale Ratzinger deprecava la consuetudine invalsa di contrapporre una presunta chiesa preconciliare ad una altrettanto presunta chiesa postconciliare. Come recitiamo nel Credo, la Chiesa è una.
Se l'analisi di padre Cavalcoli è corretta, il pensiero di Rahner costituisce effettivamente una sfida per la coscienza del cristiano ed è per questa ragione che merita di essere discusso.
Ma credo ci sia anche un altro motivo. Papa Benedetto ha sottolineato in più occasioni che il pericolo per la fede è costituito oggi da quella forma di pensiero che si è soliti etichettare "relativismo".
Nel mio piccolo avevo cercato di analizzare questo fenomeno filosofico, che sta divenendo assai popolare nei dipartimenti di filosofia di mezzo mondo, e l'avevo fatto qui e qui.
Ora, padre Cavalcoli sostiene nel proprio libro che il pensiero di Rahner effettivamente giustifica sul piano teologico una posizione relativista, dinanzi alla quale il dogma cristiano è abbandonato alle ubbie (categoriali) dei credenti e al divenire storico.
Proprio per questo è di stringente attualità l'analisi del pensiero di Rahner e senza dubbio il contributo di padre Cavalcoli si inserisce in una serie di valutazioni di estremo interesse (si pensi soltanto ai nomi di von Balthasar e di Ratzinger, che a lungo si confrontarono con la teologia rahneriana).
La ragione per cui Karl Rahner. Il Concilio tradito si fa maggiormente apprezzare è data a mio avviso dal carattere sistematico e unitario con il quale il pensiero del teologo tedesco è ricostruito e valutato.
E' nel primo capitolo, dedicato alla gnoseologia rahneriana, che padre Cavalcoli getta da un lato le basi della ricostruzione della teologia di Rahner e dall'altro espone il fondamento della critica che rivolgerà a questo pensiero.
In questo modo di procedere l'autore è senza dubbio sulla stessa linea d'onda del teologo gesuita, che nel suo Grundkurs des Glaubens espone in primo luogo quella distinzione tra momento tematico o categoriale e momento atematico o trascendentale che è la cifra della sua gnoseologia. In effetti l'intera teologia rahneriana dipende dalla accettazione di questo assunto filosofico-gnoseologico, che le consente senza dubbio di presentarsi come un edificio solido e compatto.
Per Rahner esiste un momento categoriale e consapevole del conoscere: è su questo fronte che si collocano le definizioni dogmatiche che la Chiesa propone. Questo momento è mutevole e dice solo imperfettamente l'altro momento del conoscere, che però non è mai afferrato concettualmente, ma sempre postulato, come mit-wissen in ogni atto di conoscenza e nell'affermazione del soggetto che si autodetermina in ragione della propria libertà. Con termine proprio questo mit-wissen è chiamato da Rahner Vorgriff. La vera autotrascendenza dell'uomo quale apertura all'autocomunicazione del divino appartiene a questo momento atematico, che, come osserva Cavalcoli, si avvicina molto all'Io penso kantiano, come funzione trascendentale che deve poter accompagnare ogni rappresentazione.
Mai consapevole, l'esistenziale atematico è solo asintoticamente avvicinato mediante l'esperienza mistica.
Ma come mostra efficacemente padre Cavalcoli, in questo modo sono consegnate al divenire storico le formule dogmatiche, che non sono mai vere, perché mai dicono completamente quell'esistenziale trascendentale, che è per definizione indicibile; se però le formule dogmatiche possono essere negate, ne segue che il dogma è storicizzato. In poche parole abbiamo spalancato la porta a quella concezione relativistica della fede (categoriale): prezzo che Rahner si sente di poter pagare, pur di affermare la propria mistica dell'inconoscibile dimensione della grazia - ovvero, come spiega nei primi paragrafi del Grundkurs des Glaubens, la mistica dell'esistenziale trascendentale, identificato con quella "grazia che è sempre presente" all'uomo, quale effetto della autocomunicazione divina, che è sempre in atto. La presenza della grazia non è tolta, a livello trascendentale, dal peccato, che fà sì che la grazia sia presente, ma nel modo del rifiuto. In altre parole il peccato è il non essere consapevoli (categorialmente) del dono che a livello dell'esistenziale trascendentale è sempre offerto alla libertà del soggetto dall'atto mediante il quale Dio sempre si autocomunica. L'inferno in quest'ottica rimane una possibilità astratta, ma di fatto non si dà, perché non si danno uomini che non siano atematicamente in grazia - stante che l'essere in grazia è implicato dall'essenza stessa dell'uomo che è posta essere il suo autotrascendersi. Da qui l'assunto rahneriano per cui filosofia e teologia tendono ad identificarsi ed entrambe si risolvono in antropologia. Ma in quest'ottica l'evento di Cristo viene semplicemente ad essere l'accadere dell'idea di Salvatore Assoluto che a livello atematico-trascentale è posta come necessaria.

Quale valutazione dare di questa teologia, che tanto favore ha incontrato e continua ad incontrare?
Indubbiamente è molto bella la sintesi che il teologo gesuita ha fatto di pensiero moderno e della rivelazione cristiana, che è stata dettata da una autentica passione pastorale, come mi pare di poter affermare.
Ma che rimane dell'avvenimento del Verbo fatto carne? Cristo non finisce forse per divenire postulato dall'esistenziale trascendentale?
Credo perciò che il motivo per cui maggiormente il libro di padre Cavalcoli si fa apprezzare sia nell'invito a riscoprire la gratuità dell'amore con cui Dio ha scelto di incarnarsi; di soffrire per riparare al nostro peccato; di riconciliare noi peccatori con Lui.
E tutto questo nessuna antropologia, sia pure trascendentale, sarà mai in grado di dedurre a priori.
Credo che questo sia l'elogio più bello che si possa fare di un libro che contiene riflessioni impegnative e profonde: farci riscoprire l'amore gratuito che Dio ha per noi.

Se proprio si deve fare una osservazione all'opera di padre Cavalcoli, bisogna rilevare che il libro non è esente da alcune fastidiose sviste tipografiche. L'auspicio è che una prossima riedizione, che speriamo non si farà attendere e che auguriamo di cuore all'autore, possa ovviare a questo inconveniente.

Corrispondenza Romana su Rahner

A 25 anni dalla morte, la figura dello studioso gesuita Karl Rahner (+ 1984) è ancora e sempre più oggetto di disputa e di controversia.
Gli uni, in genere di orientamento progressista, gli attribuiscono meriti teologici tali da dichiararsi volentieri suoi discepoli e da paragonarlo nientemeno che a san Tommaso d’Aquino, già definito Dottore Comune della Chiesa; gli altri (tra i quali spiccano i nomi di Cornelio Fabro, Giuseppe Siri, Julio Meinvielle e Antonio Galli), lo vedono al contrario come una delle cause prossime dell’attuale sbandamento teologico, filosofico, etico e politico del mondo cattolico.

In un’opera profondamente meditata e ben scritta (Giovanni Cavalcoli, Karl Rahner. Il Concilio tradito, Fede & Cultura, 2009, 24 €), il domenicano padre Cavalcoli – forte di una ricerca in materia di almeno 20 anni e di tante pubblicazioni sul tema – affronta di petto il difficile pensiero rahneriano, scovandone, con sottile analisi, tutte le ragioni di perplessità e di riserva.

Senza negarne gli aspetti positivi (cfr. in tal senso le pp. 11-12), i quali in definitiva attengono alla sua notevole capacità speculativa e alla sua vastissima cultura, Karl Rahner è sicuramente uno dei principali responsabili della cosiddetta “svolta antropologica” (Fabro), e cioè, in definitiva, della riduzione della teologia ad antropologia (a seguito di quanto già vanamente tentò Feuerbach), come conseguenza, stavolta, dell’assunzione della modernità come categoria filosofica di riferimento.

L’opera, che merita di essere letta dai fedeli consapevoli dell’immane crisi in atto a dai pastori che vogliano liberarsi dalla velenosa eredità rahneriana, è divisa in 5 parti. La prima, la più ardua e la più importante, analizza e confuta passo dopo passo la gnoseologia del gesuita, mostrandone le dipendenze da Fichte, Kant, Hegel e Heidegger, e la chiara congruenza con l’impostazione immanentistica condannata dalla Chiesa nell’enciclica Pascendi.

Le altre parti del volume sono dedicate alla teologia, all’antropologia e alla cristologia del gesuita, concludendo con il confronto, tra Rahner e il Magistero cattolico, su tanti elementi della dottrina cristiana, come la grazia, il peccato, i sacramenti, il libero arbitrio, etc. etc. In tutti questi punti, la visione rahneriana del cristianesimo, si distacca, ove più ove meno, dalla dottrina dogmaticamente definita: anche quando il gesuita usa il Concilio, a cui partecipò come perito, lo fa in modo assolutamente strumentale, con lo scopo di insinuare virtualità ermeneutiche in esso chiaramente non presenti. Nondimeno secondo il domenicano, «il linguaggio del Concilio, che si è sforzato di tenere un tono modernamente pastorale, manca a volte, su punti importanti di dottrina, della desiderata chiarezza ed univocità» (p. 8): proprio questo ha permesso e forse favorito l’ondata neo-modernista che ha travolto il pensiero cattolico già durante lo svolgimento dell’assise ecumenica.

Come risolvere il problema, scongiurando quella che Augusto del Noce definì «l’auto-eutanasia del cattolicesimo»?

Secondo Cavalcoli, le autorità cattoliche dovrebbero «intervenire con coraggio e chiarezza» (p. 344), per confutare gli errori presenti e indicare vie alternative: «Un’opera utile da compiere a questo proposito […], è, come auspica Mons. Gherardini nel suo recente libro, quella di mettere in luce con chiarezza quali sono le dottrine nuove del Concilio non secondo un’esegesi di rottura, ma come esplicitazioni della Tradizione, lasciando così una giusta libertà di critica nei confronti invece di quelle disposizioni pastorali che sembrano o si sono verificate meno opportune e magari rivedibili o abrogabili per assicurare il bene e il progresso della Chiesa nella Verità» (p. 345).

Conclude il poderoso volume di oltre 350 pagine (e quasi 700 note) una fondamentale bibliografia ragionata e critica verso il rahnersimo: auspichiamo vivamente che questo testo, come quello prima citato del Gherardini, siano segni propizi di una nuova stagione teologica “post-conciliare”, stavolta però tutta centrata su Dio e il culto (anche intellettuale…) che Gli è dovuto.

Corrispondenza Romana n.1118 del 21/11/2009

Violenza anticristiana

Mentre si manifesta per la libertà di stampa si ignora la violenza assassina contro i cristiani e la libertà religiosa.

Tanto clamore per la supposta mancanza di libertà di stampa in Italia, mentre da tempo si ignora la mancanza di libertà e le continue persecuzioni che i cristiani subiscono in maniera intensa a partire dagli anni settanta; ma guai a parlarne sui media, i cristiani non esistono proprio.
Chi si è scaldato più di tanto per esempio per la barbara aggressione che ha subito il 27 settembre scorso un vecchio frate a Sanremo, un extracomunitario, probabilmente nordafricano, al grido di Allah ak bahr lo ha massacrato a colpi di bottiglia, infierendo sull'uomo con calci e pugni anche quando era ormai a terra. Ora il frate di Sanremo, padre Riccardo, 76 anni, rischia di perdere l'uso di un occhio. A riportare la notizia e' il''Secolo XIX''.
Sempre nello stesso giorno in Egitto un cristiano-copto, Hanna Amir Rezq, 26 anni, assassinato da un autista musulmano, Nayer Mansour Sahrab, offeso perché l’uomo aveva preferito salire su un’altra vettura rispetto alla sua. Il conducente islamico, di fronte al rifiuto di Rezq, lo ha aggredito con ripetute coltellate alla schiena e all’addome. Oltre alla vittima, l’aggressore ha ferito i suoi fratelli Maurice e Amin, e anche il nipote ventenne di Rezq, Ashraf Maher Amir. Ultimo episodio la crocifissione di sette giovani sudanesi, è successo il 13 agosto ma la notizia è apparsa ora. E’ stata Al Qaida, con la complicità del governo di Khartoum, sostenuto dalla Cina. Ma perché questi assassinii non fanno notizia? Si chiede Renato Farina su Il Giornale. Siamo appassiti, facciamo schifo tutti anche i cristiani e i vescovi che in queste settimane erano impegnati su un altro tema più gustoso e in grado di suscitare titoloni: la moralità privata di Berlusconi. Il Papa invece non fa che ricordare martiri e persecuzioni, indicando luoghi e Paesi. Amaramente Farina evidenzia che noi cattolici ci facciamo scrivere dai relativisti della cultura europea perfino l’agenda dei nostri sentimenti.
Episodi tra i tanti che troviamo in un best seller della giovane casa editrice Fede & Cultura (www.fedecultura.com), di Verona, Il Libro Nero delle nuove persecuzioni anti-cristiane, di Thomas Grimaux, un giovane scrittore che ha viaggiato proprio in questi Paesi di persecuzione, le sue descrizioni ci fanno immergere nella realtà quotidiana, nei fatti concreti e reali. Il libro è una lunga litania, a tratti anche un po’ fastidiosa, non tanto per tenere la contabilità degli atti di persecuzione violenta, quanto piuttosto coglierne l’ampiezza.
Il libro tra le tante domande si chiede per quale motivo la Chiesa è la vittima sistematica delle aggressioni e, come pare, il bersaglio preferito dagli assassini? La prima parte sviluppa le persecuzioni dell’induismo e del buddismo che a volte sembrano nascoste, poi il testo s’interessa delle violente persecuzioni che ancora oggi i cristiani subiscono dai paesi comunisti nella Cina capital comunista, a Cuba in Corea del Nord ma anche in Venezuela, in Bolivia. Ma se il fanatismo induista e quello buddista non sono operanti sui nostri territori e se il comunismo ha un peso inferiore che nel passato, l’islamismo però sta guadagnando terreno. Il Libro Nero delle nuove persecuzioni anti-cristiane in conclusione si interroga, su qual’è il futuro dei cristiani in terra d’islam?
Le violenze nei confronti dei cristiani è un continuo stillicidio che va dai Paesi islamici cosiddetti moderati fino a quelli più estremisti. Dal divieto assoluto di celebrazioni cristiane in Arabia Saudita, il divieto assoluto addirittura di recitare il rosario in casa propria, non sono forse una violenza inaudita? L’associazione caritativa, Aiuto alla Chiesa che Soffre riporta la notizia che alla dogana in Arabia Saudita, sono considerati prodotti di contrabbando non tanto le droghe, i liquori o il materiale pornografico, ma tutti gli oggetti a forma di croce, anche a scopo ornamentale, tutti i libri cristiani, tutte le foto o le pubblicazioni cristiane.
Si chiede Grimaux. C’è di più, gli incitamenti all’odio diffusi attraverso i media o i manuali scolastici costituiscono una preparazione psicologica a secondare un appello all’assassinio. In Algeria altro Paese considerato moderato, il proselitismo cristiano è da qualche tempo legalmente proibito. Il presidente degli ulema musulmani, ha affermato: “Nuovi crociati tentano di cristianizzare gli algerini. La moschea, la scuola, i media e le istituzioni dello Stato vi si devono opporre”. Fortunatamente non sempre si arriva al grave episodio della decapitazione di tre liceali cristiane, nell’isola di Celebes, nella regione di Poso, in Indonesia; Theresia aveva 15 anni, Alfita, 17 anni e Yarni 15 anni, mentre andavano a scuola, vengono improvvisamente attaccate da integralisti islamici il 29 ottobre 2005.
Non frequentate alcun estraneo (all’Islam). Non fate alcun compromesso con gli atei. Bisogna ucciderli. Punto e basta. Chi ha pronunciato queste parole? Non è un imam che vive in Arabia Saudita o in Pakistan, ma a Torino, non è il solo, scrive Grimaux, l’Italia del Nord pullula di simili imam radicali.

Domenico Bonvegna
domenicobonvegna@alice.it

Karl Rahner - Alle origini del buonismo

Alle origini del buonismo

La contraffatta teologia di Karl Rahner

Nell’immaginario educato dal trionfante relativismo, “buono” è il qualunque pensatore inteso a scongiurare i conflitti scatenati dall’affermazione che esistono princìpi tra loro irriducibili.
Padre Giovanni Cavalcoli o. p., l’autore del magistrale saggio “Karl Rahner – Il Concilio Tradito” sulla teologia del teologo tedesco, edito in questi giorni dalla veronese Fede & Cultura, rammenta, al proposito, che “Il voler distinguere con assolutezza il vero dal falso sembra a molti espressione di presunzione e di intolleranza, sorgente di discordia e mancanza di rispetto per le idee e la coscienza degli altri. Il concetto stesso di una religione assolutamente vera che primeggi sulle altre appare a molti una pretesa imperialistica di questa sulle altre religioni” (“Karl Rahner Il Concilio tradito, pag. 16).
Il pregiudizio buonista, infatti, esige pro bono pacis che un’affermazione vera dal punto di vista di colui che la pronuncia, sia vera anche dal punto di vista di colui che dichiara l’esatto contrario.
Soggiacente alla bontà che vuole il sacrificio della ragione sull’altare dell’armonia ad ogni costo, èla sentenza del guru sessantottino Herbert Marcuse, che (nel saggio “Eros e civiltà”) ha definito fascista (che per lui significava intollerante e intrinsecamente violento) il principio di non contraddizione, secondo cui un’affermazione non può essere vera e falsa nello stesso tempo e sotto il medesimo profilo.
Va da sé che il contrasto tra l’intollerante verità e la pace è una figura sofistica, concepita dai filosofi ultramoderni di scuola francofortese per nascondere la decisione di aggirare i princìpi indeclinabili della logica, princìpi che (a loro avviso) non sono iscritti e leggibili nella realtà ma inventati dal fascista Aristotele.
Ora padre Cavalcoli cercando i possibili ispiratori della patologica avversione alla verità, non ha incontrato gli apostoli della pace ma il maestro di Karl Rahner, Martin Heidegger, l’autore dello stravolgente principio secondo cui “la verità non sta nel giudizio col quale l’uomo adegua il suo pensiero all’essere, ma sta nella comprensione atematica, nell’esperienza trascendentale, come situazione esistenziale emotiva del soggetto autocoscienze, nel quale l’essere si identifica con l’essere pensato, in modo tale che la verità del pensiero è al contempo la verità dell’essere e la verità del soggetto” (op. cit., pag. 41).
Heidegger (e al suo seguito Rahner) vantavano la loro appartenenza alla più alta e aggiornata scuola di metafisica. In realtà il loro pensiero approda a risultati non molto diversi da quelli ottenuti da Jean Paul Sartre e da Claude Levy Strauss, autori di uno sgangherato sistema antimetafisico, tendente ad abbassare l’intelletto umano al livello della sensazione animalesca.
Svilimento della ragione umana e retrocessione dell’immanentismo moderno al panteismo antico, costituiscono l’orizzonte ultimo del pensiero heideggeriano e rahneriano.
Ridotto la filosofia ad universale esperienza emotiva, l’errore , la non adeguazione dell’intelletto alla realtà, sprofonda in un cappello a cilindro: di qui l’opinione temeraria (affermata da Rahner) che tutti conoscano la verità attraverso la c. d. esperienza trascendentale.
Rahner afferma che la concordia inizia dal riconoscimento che tutti sono nella verità e nessuno sbaglia. Di conseguenza propone la tesi che attribuisce agli atei la qualifica di cristiani anonimi, che in quanto tali sono naturalmente destinati alla beatitudine eterna.
Per attingere un tale pensiero Rahner è costretto ad aderire al disconoscimento modernista della dottrina cattolica sulla grazia: “la natura-grazia è sufficiente ad assicurare la felicità e la divinizzazione dell’uomo” (op. cit. pag. 173).
Oscurata la nozione della grazia la trascendenza divina svanisce: Rahner “finisce nel vedere nel soprannaturale niente più che uno sviluppo totale e finale del naturale o un approfondimento di quest’ultimo, come se l’uomo elevandosi al massimo delle sue possibilità potesse diventare Dio”.
Il sottotitolo del saggio (“Il Concilio tradito”) manifesta l’opinione dell’autore sull’influsso dell’opinione rahneriana sui cristiani anonimi nelle stravaganze ecumeniche elucubrate in nome di un presunto “spirito del concilio Vaticano II”.
Ma non solo nelle stravaganze postconciliari: padre Cavalcoli, infatti, facendo propria e sviluppando una tesi di monsignor Brunero Gherardini, dimostra che il buonismo di Rahner si è insinuato di soppiatto nei testi conciliari, ad esempio nella traduzione della Gaudium et Spes, che invita ad un esame più serio e profondo delle ragioni che si nascondono nella mente degli atei, quasi che esistano delle serie ragioni per essere atei.
Di qui l’auspicio, formulato nella magnifica conclusione, che il Magistero della Chiesa sconfessi la finzione buonista e “metta in luce con chiarezza quali sono le dottrine nuove del Concilio, non secondo un’esegesi di rottura, ma come esplicazione della Tradizione, lasciando così una giusta libertà di critica nei confronti invece di quelle disposizioni pastorali che sembrano o si sono verificate meno opportune e magari rivedibili o abrogabili per assicurare e promuovere il bene e il progresso della Chiesa nella Verità” (op. cit., pag. 345).
Senza ombra di dubbio l’auspicio di padre Cavalcoli corre incontro alle sagge intenzioni di Benedetto XVI, oltre che alle speranze di tutti i credenti. La lettura del suo pregevole saggio, pertanto, è raccomandata a quanti hanno a cuore il vero bene della Chiesa cattolica.

Recensione su Il Settimanale di Padre Pio

Indubbiamente la recente restaurazione del rito tradizionale della santa Messa, autorizzato e incoraggiato da Benedetto XVI nel 2007, sta favorendo in tutto il mondo e in tutta la Chiesa una silenziosa e diffusa rinascita spirituale, una ripresa della devozione e della pietà eucaristica soprattutto nelle giovani generazioni sia di laici cattolici, che di seminaristi e sacerdoti.
Ma il legame tra culto e cultura è a tutti noto e non esiste infatti, contro l’idea tutta moderna circa la presunta ragionevolezza dell’ateismo, un popolo o una nazione, in Occidente come in Oriente, che non abbia nella sua storia e nella sua arte, nella sua cultura e nei suoi costumi, un’impronta religiosa, sacrale, impregnata di trascendenza.
Il rito tradizionale della Santa Messa, oltre ad una nuova efficacissima barriera al processo contemporaneo di secolarizzazione, costituisce di per sé un valido tramite tra l’uomo di oggi e la nostra lunga storia di italiani, un popolo la cui identità è davvero incomprensibile senza far riferimento a quell’avvenimento cristiano, qui da noi giunto grazie a quegli stessi uomini che personalmente conobbero il Redentore, come i santi martiri Pietro e Paolo.
Il libro in questione (E. Cuneo, D. Di Sorco, R. Mameli, Introibo ad altare Dei, edizioni Fede & Cultura, 2008, euro 25) riassume perfettamente quanto sopra detto. Gli autori hanno tra i 24 e i 32 anni e sono tutti e tre musicisti, specializzati nel canto lirico e gregoriano, nella liturgia o nell’uso di strumenti da concerto. La loro pregevole opera, che si avvale di una prefazione del card. Castillòn Hoyos e di una postfazione di padre Konrad zu Löwenstein, si presenta come un manuale per l’apprendimento del servizio liturgico dell’Altare, ed è dedicato dunque in special modo ai chierichetti e ai ministranti; il suo contenuto però è ben più ampio.
Infatti parlando della sacra Liturgia (cap. 1), dei Libri liturgici (cap.2), dei ministri del culto (cap. 3) o del canto e della musica sacra (cap.6), si viene immersi nella nostra più vera e profonda dimensione culturale e storica: ogni uomo di cultura e ogni fedele cattolico dovrebbero accostarsi a queste dense pagine, scritte con grande semplicità e slancio giovanile, per trarne quei punti di riferimento culturali, estetici e spirituali che permettono da un lato di uscire dalla banale volgarità del quotidiano, e dall’altro di capire, al di là dell’aspetto folkloristico o meramente letterario, il valore e il senso di tante tradizioni locali, (processioni, pellegrinaggi, feste patronali e usi secolari) che ancora si conservano, nonostante tutto, nella nostra vecchia Europa. Il nostro variegato e imponente patrimonio musicale, artistico e architettonico (pensiamo alle tante basiliche e cattedrali) di cui da italiani andiamo giustamente fieri, se si spiega in generale con la grande religiosità del nostro popolo, deve pure moltissimo proprio alla forma liturgica codificata da Papa san Pio V nel XVI secolo, che in realtà risale ai primi albori dell’era cristiana.
Tutti riconoscono poi che l’uomo di oggi soffre un processo di sradicamento, di estraniamento culturale, soprattutto nelle metropoli, e di una spaventosa crisi di identità. Crediamo con forza che il modo migliore di far fronte a tali malattie tipiche dell’epoca della globalizzazione, si trovi, più che in tecniche di tipo psicologico o metodi “spirituali” presi in prestito da altre civiltà, nella fuga dal ritmo e dalla mentalità asfissiante della città secolare, abbattendone i falsi idoli del consumismo, della carriera e del devastante culto di sé.

Proprio in tal senso il massimo culto reso a Dio, cioè quello sobrio e ascetico, sacrale e gerarchico della liturgia romana bimillenaria, così come accuratamente descritto dai nostri giovani autori, costituisce l’antidoto migliore alla perdita di senso e allo smarrimento esistenziale, ed inoltre, anzitutto, il luogo e il momento da cui ripartire per ricreare in noi e intorno a noi, i valori e i costumi dell’intramontabile e indistruttibile cristiana civiltà.
Fabrizio Cannone

Avvenire su Iota unum

Pubblichiamo uno stralcio dell'articolo si Cesare Cavalleri su Avvenire di martedì 1 settembre 2009

Ma la tesi resta forte: il Vaticano II non ha affatto rotto col passato

Aveva diritto a un risarcimento il filosofo e teologo Romano Amerio che nel 1985 pubblicò il suo Iota unum e fu tacciato di anticonciliare, passatista, addirittura lefebvriano. Adesso che il ponderoso volume è disponibile [nell'edizione di Fede & Cultura), si può riflettere più serenamente non solo sulle questioni sollevate da Amerio, ma anche su tutto il periodo postconciliare. Lo «sdoganamento» di Amerio corona gli sforzi e la cocciutaggine del suo fedele discepolo Enrico Maria Radaelli, il quale, incoraggiato anche dal filosofo dell’Università Lateranense Antonio Livi, pubblicò nel 2005 un profilo del maestro ticinese, favorevolmente recensito dalla Civiltà cattolica nel 2007.

L’Osservatore romano, che nel 1985 non aveva pubblicato la recensione favorevole a Iota unum redatta dal prefetto della Biblioteca Ambrosiana di Milano, Angelo Paredi, nel 2007 ha riservato ampio spazio al convegno indetto per il decennale della morte di Romano Amerio, pubblicando integralmente l’ampia relazione conclusiva di monsignor Agostino Marchetto. E qui tocchiamo un primo merito di Amerio, cioè di contrastare l’interpretazione del Vaticano II come discontinuità, svolta, rottura con la tradizione, quasi che da esso fosse nata una Chiesa diversa da quella fondata da Cristo.
È questa la tesi sviluppata nei cinque volumi della Storia del Concilio Vaticano II elaborata dall’Istituto per le Scienze religiose di Bologna, animato da Dossetti, Alberigo e Melloni (in ordine decrescente di statura), tesi che monsignor Marchetto, non solo nel convegno su Amerio ma anche in ponderosi volumi, ha saputo smantellare, con soddisfazione dell’Osservatore. Dunque, Romano Amerio è innanzitutto indomito paladino della continuità della tradizione, dalla consegna delle chiavi a Pietro fino alla fine dei tempi, attraverso tutti i Concili finora celebrati e quelli che seguiranno in futuro. Si tratta, per dirla coi classici, dello «sviluppo omogeneo del dogma».

Un secondo punto a favore di Amerio lo possiamo sintetizzare con le parole che un suo sincero estimatore, don Divo Barsotti, ebbe a scrivere in tempi non sospetti: «Amerio dice in sostanza che i più gravi mali presenti oggi nel pensiero occidentale, ivi compreso quello cattolico, sono dovuti principalmente a un generale disordine mentale per cui viene messa la caritas avanti alla veritas, senza pensare che questo disordine mette sottosopra anche la giusta concezione che noi dovremmo avere della Santissima Trinità».

Amerio dimostra che il dialogo non può essere separato dall’annuncio, allo scopo di favorire la libera conversione dell’interlocutore; che una pastorale valida non può non essere teologica, e che una teologia valida non può non avere un ancoraggio metafisico. È quanto ha sostenuto monsignor Mario Oliveri, vescovo di Albenga-Imperia, nel profilo di Amerio appena pubblicato su Studi cattolici.

È chiaro che il primato della verità sulla carità va inteso in senso ontologico, non cronologico, dato che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono coeterni e coessenziali. Nella pratica ascetica, dottrinale, pastorale, sociale, tutto si tiene, come indica Benedetto XVI nella Caritas in veritate segnalando «il bisogno di coniugare la carità con la verità non solo nella direzione, segnata da san Paolo, della veritas in caritate (Ef 4, 15), ma anche in quella, inversa e complementare, della caritas in veritate.

La verità va cercata, trovata ed espressa nell’"economia" della carità, ma la carità a sua volta va compresa, avvalorata e praticata nella luce della verità». Iota unum, che si presenta con una certa dispersione analitica, va interpretato alla luce di questo criterio unificante, peraltro senza l’esagerazione di presentare Amerio come nuovo san Tommaso

Recensione di Iota Unum del Prof. Roberto de Mattei

Pubblichiamo estratti dell'articolo di recensione del Prof. Roberto De Mattei, di Radici Cristicane e della Lepanto Foundation, pubblicato su Il Foglio e su Corrispondenza Romana.

Fino a ieri introvabile, il capolavoro di Romano Amerio Iota Unum è adesso disponibile [...]. La [...] ristampa si deve alla casa editrice Fede & Cultura (645 pagine, 40 euro), con prefazione di mons. Luigi Negri e interventi di don Divo Barsotti e del padre Giovanni Cavalcoli. [...]
[...] Noi non possiamo che rallegrarci [...][dell' evento],che rimuove la coltre di silenzio addensata su uno dei maggiori filosofi italiani del Novecento, da quando, nel 1985, Ricciardi pubblicò la prima edizione di Iota Unum, con il sottotitolo Studio delle variazioni della Chiesa Cattolica nel secolo XX. L’opera fu seguita da tre ristampe e tradotta in sei lingue, raggiungendo decine di migliaia di lettori in tutto il mondo, ma venne ignorata dal mondo cattolico ufficiale e dagli stessi avversari chiamati a confronto.

La mole e la ricercatezza stilistica resero più difficile la diffusione del testo, il cui valore non sfuggì però ai più attenti interpreti del nostro tempo, quali Augusto Del Noce. Romano Amerio, nato da padre astigiano a Lugano nel 1905 e morto in questa stessa città, il 16 gennaio 1997, prima di divenire rigoroso analista della crisi postconciliare, fu studioso raffinato di Campanella e di Manzoni. Iota unum apparve nello stesso anno del Rapporto sulla fede del cardinale Ratzinger, che, nella sua celebre intervista a Vittorio Messori, avviava una riflessione sul Concilio Vaticano II, poi culminata nell’altrettanto noto discorso alla Curia romana del 22 dicembre 2005, sull’“ermeneutica delle continuità”.

Amerio da parte sua aveva partecipato ai lavori conciliari come “esperto” del vescovo di Lugano, e poi, per un ventennio, aveva seguito accuratamente le vicende ecclesiali, prima di consegnarne a queste pagine la spietata ma oggettiva diagnosi. In Iota unum, egli porta alla luce, con deferente franchezza, le responsabilità delle stesse gerarchie ecclesiastiche per la grave crisi che oggi soffre la Chiesa.

La causa di questa crisi risale, a suo avviso, alla perdita di un principio ultimo e trascendente, che unifica e ordina tutti i valori secondari del mondo, sostituito da «uno pseudoprincipio immanente che rifiuta di trovare fuori del mondo le ragioni del mondo e fuori della vita nel tempo il destino dell’uomo» (§332). La religione dell’immanenza si dissolve nel mondo, incorporandone quella pluralità di valori disconnessi e indipendenti tra loro, che la minano e distruggono dall’interno.

Al cuore del problema sta il rapporto tra Caritas e Veritas, ovvero la necessità di non separare, come è accaduto dopo il Concilio, la carità dalla verità. In questo Amerio anticipa sorprendentemente Benedetto XVI che, nella sua ultima enciclica Caritas in Veritate, ha ribadito che la carità si radica nella verità, perché «solo nella verità la carità risplende e può essere autenticamente vissuta» (n. 3).

Amerio difende i “praembula razionali” della fede contro il fideismo di coloro che vogliono privarla della sua dimensione veritativa. Sul piano logico e gnoseologico, la principale minaccia viene dal “pirronismo”, l’indirizzo scettico degli antichi sofisti oggi riproposto dai “neoterici”, i relativisti che inseguono le “novità” ad ogni costo. «Il fondo dell’attuale smarrimento, mondiale ed ecclesiale – afferma il filosofo di Lugano – è il pirronismo, cioè la negazione della ragione» (§148). Negazione della ragione significa dissolvimento di ogni certezza, e perdita della verità. La “filosofia del dialogo” affermatasi nel postconcilio esprime il passaggio dalla verità alla “ricerca della verità”, un tema di fondo a cui Amerio dedica alcune tra le pagine più felici del suo libro. Per la teologia neoterica, osserva, la nota della fede, anziché la stabilità dell’assenso è la mobilità della perpetua ricerca.

Tale concezione dinamica della fede deriva dal modernismo, per il quale la fede è funzione del sentimento del divino e le verità concettuali sono mutevoli espressioni di quel sentimento. «La parte erronea di questa concezione sta nel prendere per umiltà una disposizione d’animo che è invece di squisita superbia. Chi infatti alla verità preferisce la ricerca della verità che cosa preferisce? Preferisce il proprio moto soggettivo e l’agitazione vitale dell’io a quel valore per fermarsi nel quale il moto soggettivo gli è dato» (§165).

L’errore per cui si stima più la ricerca che il possesso della verità è una forma dell’indifferentismo e del relativismo contemporaneo. Quello che nell’ordine logico è il pirronismo, nell’ordine metafisico è il “mobilismo”, un carattere della Chiesa conciliare secondo cui tutto è movimento e non c’è nessuna parte del sistema cattolico che non sia in fase di mutazione. Il mobilismo è la mentalità che stima il divenire sopra l’essere, il moto sopra la quiete, l’azione sopra il fine (§157-158). La sistemazione teoretica più compiuta del mobilismo è la filosofia del divenire di Hegel, abbondantemente penetrata nella cultura cattolica e negli atteggiamenti pratici del clero e dei laici. Al mobilismo Amerio contrappone la filosofia tomistica e platonico-aristotelica delle “essenze”.

Nella lettera con cui il 31 agosto 1985 presenta a Del Noce Iota Unum, egli spiega chiaramente il fine per cui lo ha scritto: «difendere le essenze contro il mobilismo e il sincretismo propri dello spirito del secolo». Del Noce gli risponde di ritenere che «quella “restaurazione cattolica” di cui il mondo ha bisogno abbia come problema filosofico ultimo quello dell’ordine delle essenze».

L’essenza, in filosofia, è la specifica identità di ogni cosa. Esiste, anche per la religione cattolica, una essenza propria, che è ciò che la rende immutabile e uguale a sé stessa nel tempo. È impossibile per il cattolicesimo variare nella sua essenza, ma è proprio a questa variazione sostanziale che tendono i “neoterici” del XX secolo. «Tutta la questione circa il presente stato della Chiesa è chiusa in questi termini: è preservata l’essenza del cattolicesimo?» (§318). Solo nella fedeltà a questa immutabile essenza sta la soluzione della crisi epocale che stiamo attraversando.

Non si tratta di «leggere i segni dei tempi», bensì di «leggere i segni dell’eterna volontà, che sono presenti a ogni tempo e stanno in faccia a tutte le generazioni fluenti nei secoli» (§333). Iota Unum si conclude con le parole della Scrittura: «Custos quid de nocte?» («Sentinella, che notizie porti della notte?») (Isaia 21, 11). Questo è in fondo il ruolo svolto da Amerio. Egli ci appare come una sentinella solitaria sullo sfondo di quella battaglia notturna sul mare in tempesta che lo stesso Benedetto XVI ha evocato, descrivendo il clima postconciliare.

Chi desidera conoscere meglio la figura e le tesi di Amerio, [...] può ricorrere agli atti del Convegno di studi svoltosi ad Ancona nel 2007, raccolti con il titolo Romano Amerio, Il Vaticano II e le variazioni nella Chiesa cattolica del XX secolo (Fede & Cultura, Verona 2008). Chi voglia invece approfondire il tema di Iota Unum, deve integrarne la lettura con l’opera capitale, appena pubblicata, di mons. Brunero Gherardini, Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare (Casa Mariana editrice, Frigento 2009). (R. d. M.)

Introibo ad altare Dei su Divinitas 2/09

Recensione al volume "Introibo ad altare Dei" a cura di Mons. Brunero Gherardini
Un vivo plauso ai tre Coautori, nonché alla benemerita Editrice “Fede e Cultura”, per la sollecitudine con cui hanno risposto all’esigenza, sempre più diffusa, di maggior conoscenza della liturgia classica, specie dopo il Motu-proprio “Summorum Pontificum” (7 luglio 2007) del Pontefice f.r. L’unico rammarico è, per me, quello di darne notizia non con altrettanta sollecitudine, anche se ciò non è dipeso da cattiva volontà.I Coautori non son preti, appartengono al mondo della musica e del canto sacro, specialmente a quello gregoriano. S’interessan pure di filosofia, di teologia ed ovviamente di liturgia. A tre mani – stavo per dire a tre voci – han composto questo “Vademecum”: un preziosissimo ausilio teorico-pratico per la retta celebrazione liturgica, considerata nella più ampia accezione del termine, non escludendo l’applicazione pratica del Motu-proprio sopra ricordato.La materia è distribuita in modo un po’ singolare: i primi dieci capitoli si riferiscono un po’ a tutto quel che s’intende per liturgia: le fonti, i libri liturgici, i ministri, i paramenti, il luogo sacro, il canto e la musica, l’anno liturgico, la santa Messa, il Vespero, il servizio all’altare. Seguon poi tre parti dedicate all’apparato liturgico, alle cerimonie in genere e a quelle speciali.Una prefazione dell’Em.mo Card. Dario Castrillón Hoyos ed una postfazione del p. Konrad zu Löwenstein di Venezia, oltre ad una scelta e pertinente bibliografia, aggiungono un ulteriore prestigio a quello intrinseco dell’opera. Non si può che ripetere: un vivo plauso!Trovo interessante – oltretutto perché ho sempre sostenuto altrettanto – che la ragione della più facile comprensione dei testi, addotta dalla riforma conciliare, è mal posta: non si tratta infatti di ragione linguistica, ma di penetrazione del mistero e d’adesione ad esso, per la qual cosa più che la lingua vale la contemplazione orante. Utile anche la descrizione dei singoli passaggi cerimoniali per celebrare la liturgia tradizionale: i preti delle ultime leve sanno a mala pena che l’attuale rito s’iniziò con Paolo VI ed ignorano quello precedente; i preti della mia età hanno in gran parte dimenticato il rito della loro prima Messa e del loro primo servizio ministeriale. Degna di nota anche l’osservazione sulle traduzioni ed il conseguente pericolo di slittamenti semantici nel passaggio da una lingua all’altra. Anche per questo, oltre all’espressività propria e alla duttilità della lingua di Roma, sarebbe stato opportuno rimanere alla fissità del latino. Esprimo infine la mia grande ammirazione per lo spirito di fede, di preghiera e d’amore alla Chiesa che i tre Autori esprimono in ogni loro pagina.Se mi si permette, faccio un rilievo critico: non insisterei più di tanto sulla continuità fra il nuovo rito e quello tradizionale, ed ancor meno fra il Vaticano II – globalmente considerato – e la Tradizione ecclesiastica. Che ci siano affermazioni in tal senso, nessuno lo nega; che sian qualcosa di più del famoso specchietto per le allodole, è da provare. Aggiungo che non basta qualificare la Tradizione con l’aggettivo “vivente” per giustificare ciò che le è estraneo: è un cavallo di Troia introdotto nella cittadella della liturgia e della Chiesa.
Mons. Brunero Gherardini
Estratto da: Divinitas. Rivista internazionale di ricerca e di critica teologica, 2 (2009) 237-238.

Siamo presenti al Giorno del Timone

Sabato 23 maggio siamo presenti col nostro stand a Vimercate (Milano) al Giorno del Timone. Libri della Buona Stampa, incontri con gli Autori, con il nostro Direttore Prof. Giovani Zenone e con lo staff di collaboratori di Fede & Cultura. Vi aspettiamo! Qui di seguito il programma.

IL GIORNO DEL TIMONE

Sabato 23 maggio 2009
Località: Cascina La Lodovica
Via Lodovica, 5 - ORENO DI VIMERCATE (MI)
Email: info@lalodovica.it internet:www.lalodovica.it



PROGRAMMA

ore 10,00 - Apertura

ore 11,30 - Santa Messa
celebrata da S. Em.za Card. José Saraiva Martins
Prefetto emerito della Congregazione delle Cause dei Santi

ore 15,00 - Conferenza
"Il ritorno a Dio. Nel cuore. Nel mondo"
Relatori
Paolo Brosio
Massimo Introvigne



ore 17,00 - Riconoscimento speciale
alle
Suore Misericordine
che hanno curato Eluana Englaro


ore 17,20 - Consegna del Premio "Defensor Fidei"
assegnato a P. Thomas Chellan,
sacerdote dello Stato dell'Orissa (India) brutalmente perseguitato da fantici indù


Durante il corso della giornata
stand espositivi di associazioni
mostre
per i bambini: giochi, spettacolo, intrattenimento
(servizio baby sitter)
possibilità ristoro: self service - servizio bar

Risorgimento ed Europa su Radici Cristiane maggio 2008

Intervista all'Autrice del libro Risorgimento ed Europa Angela Pellicciari.
D. Alla vigilia delle elezioni europee lei fa stampare un libro dal titolo “Risorgimento ed Europa\ Miti, pericoli, antidoti” (Fede & Cultura, pp. 124, 12 euro): una collezione di suoi vecchi articoli prevalentemente comparsi su La Padania. Quale è il senso di questa operazione culturale?

R. Il senso è quello di mandare un messaggio. E il messaggio è: stiamo attenti, cattolici.

Stiamo attenti perché nel nome di bellissimi ideali rischiamo di esser colonizzati in modo brutale dalla mentalità nichilista, scientista e sessista che opera con successo in molti degli stati del nord e centro Europa e, da qualche anno, anche nella cattolica Spagna.

D. Ma cosa c’entra con l’Europa il Risorgimento?

R. Le spiego. Il processo di unificazione della penisola italiana, nato sotto i migliori auspici, favorito dagli stessi cattolici, compreso il papa, si è trasformato in uno spaventoso boomerang che ha tentato con satanica determinazione di sradicare dal cuore degli italiani la religione cattolica, che pure lo Statuto albertino definiva “unica religione di stato”. Pio IX ha ripetutamente denunciato la singolarità della persecuzione anticattolica in Italia. Mentre Lutero, Calvino, gli anglicani ed i protestanti tutti, hanno sempre apertamente attaccato e diffuso odio contro la chiesa di Roma, in Italia, culla del cattolicesimo, la strategia è stata diversa.

Da noi i liberali, scrive Pio IX, hanno avuto l’impudenza di definirsi i più sinceri difensori di Gesù Cristo, della chiesa e dello stesso papa, spacciandosi per paladini dell’ordine morale.

D. Aveva ragione Pio IX a condannare e scomunicare l’intera élite liberale italiana?

R. Basta guardare ai fatti. In nome della “pura” morale e della vera “religione”, in nome della libertà e della costituzione, il Regno d’Italia ha soppresso tutti gli ordini religiosi della chiesa di stato, ha abolito tutte le opere pie ed ha ridotto il papa, Pio IX, allo stato di “prigioniero” in Vaticano. Il risultato di questo tipo di morale e di questo tipo di religione è stato la rovina della popolazione italiana nella seconda metà dell’Ottocento e agli inizi del Novecento fino alla prima guerra mondiale.

Il Risorgimento è stato per gli italiani un dramma dalle proporzioni apocalittiche: per ironia della sorte il periodo che si chiama Risorgimento ha trasformato gli italiani in una nazione di emigranti. E questo, va pur detto, dopo che avevamo conosciuto, per più di due millenni, una storia ricca di primati.

D. E l’Europa? Torno a chiederle: in che senso si possono associare le modalità dell’unificazione della penisola italiana a quelle del continente europeo?

R. Le analogie, a guardare i fatti, sono parecchie. Anche in questo caso il progetto di Unione Europea vede protagonisti, e protagonisti convinti, i maggiori leaders cattolici del secondo dopoguerra: De Gasperi, Adenauer e Shuman. Anche in questo caso però l’Unione Europea, nata cristiana, si è progressivamente trasformata in una realtà anticristiana, antivaticana, nemica dello stesso diritto naturale.

D. In che senso dice che l’Unione Europea sia antivaticana?

R. Nel senso che spiega Mario Mauro, vicepresidente del Parlamento Europeo, quando scrive: “Negli ultimi dieci anni il Parlamento europeo ha condannato il Papa e la Santa Sede per violazione dei diritti umani fino a trenta volte. Cuba e la Cina non più di dieci”.

D. Questa rivista ha recensito il suo pamphlet Family day uscito lo scorso anno. Diceva qualcosa di simile accennando all’Europa.

R. Proprio così. Memore del disastro del Risorgimento, negli ultimi anni ho seguito con molta attenzione le modalità con cui si sta cercando di realizare la costruzione dell’Europa. A cominciare dal rifiuto di specificare le sue radici cristiane. Come si fa a negare l’evidenza? Come si fa a rifiutare di ammettere, come tante volte richiesto da Giovanni Paolo II, che le radici dell’Europa sono cristiane? Come non vedere che se c’è un elemento che accomuna tutte le terre europee questi sono i campanili che da una parte all’altra del continente svettano per segnalare la presenza di luoghi abitati? Come negare quel fatto incontrovertibile che senza l’evangelizzazione e la romanizzazione dei barbari operata dalla chiesa, di Europa non sarebbe neppure possibile parlare?

D. A dire il vero il Parlamento europeo non si limita a negare le radici cristiane: pretende di dare vita ad un uomo di tipo nuovo, costruito a partire da modalità dettate dalla tecnoscienza.

R. Proprio così. Si ricorda dell’espressione di Massimo D’Azeglio: “l’Italia è fatta, bisogna fare gli italiani”? Anche oggi, come allora, gruppi di persone che si ritengono illuminate hanno deciso che gli europei, come nell’Ottocento gli italiani, vadano rifatti. Ad immagine e somiglianza di un pensiero anticristiano che, in nome dell’uguaglianza e della qualità della vita, pretende di dettare legge sulla durata e le caratteristiche della vita umana. E che in nome della libertà pretende di negare le caratteristiche biologiche della sessualità.

Ma come si fa a sostenere che il sesso sia solo un dato culturale e pensare che ogni bambino debba essere “educato” fin dalla più tenera età ad identificarsi in uno dei supposti cinque generi in cui la specie umana risulterebbe suddivisa?

Il paradosso laicista invoca, come sempre, e come lei ricordava nella domanda, il paradigma scientista: la Santa Sede ed i cattolici si opporrebbero al pensiero scientifico. I pontefici, in ultima analisi, si opporrebbero all’eterno desiderio di felicità dell’uomo e al suo tentativo di migliorare le proprie condizioni di vita.

Come al solito i corifei della libertà contro la verità, i propugnatori delle verità scientifiche opposte a quelle di fede, hanno il fiato corto. Un fiato capace solo di ripetere con meccanica ripetitività: è la scienza che lo dice. E allora non sarà male ricordare che anche Hitler faceva ricorso alla scienza per giustificare la propria oscura e satanica volontà di potenza. Durante il nazionalsocialismo le università erano piene di scienziati che insegnavano come, al di là di ogni possibile dubbio, la razza ariana fosse destinata al governo mondiale e la razza ebraica fosse biologicamente inferiore.

Sul versante comunista la musica era la stessa. Ricordo ancora una bella introduzione di Togliatti al Manifesto del partito comunista comparsa nel 1947: anche in quel caso il Migliore si appellava alla scienza. A suo giudizio erano i fatti a dimostrare la scientificità del pensiero marxista: la verità del comunismo sarebbe stata comprovata in modo inconfutabile dall’avanzata mondiale delle società socialiste.

D. Quella che lei propone è in buona sostanza la difesa della civiltà e della verità cristiana?

R. Esattamente. Le dicevo prima del Risorgimento: si è trasformato nel suo contrario. Se la storia insegna qualcosa, dobbiamo stare molto attenti a non rifare gli stessi errori nel processo di unificazione europea. Anche perché questa volta la lotta non è solo contro la chiesa. L’attacco gnostico è rivolto direttamente alla vita. E se questo progetto disumano non sarà fermato rischiamo la distruzione, forse definitiva, della civiltà europea.

Memoria e Progresso di Piero Vassallo

Oggi a Genova alle ore 17,00 presso la Biblioteca del Consiglio Regionale della Liguria in via G. D'Annunzio n. 38 verrà presentato il volume "Memoria e progresso" di Piero Vassallo. Sarà presente l'Autore il Prof. Giovanni Zenone, direttore di Fede & Cultura che ha scritto la prefazione del volume.

Piero Vassallo
Memoria e progresso

Prefazione di Giovanni Zenone

Recensione
Il progresso non rappresenta la fondazione della civiltà sopra le rovine dell’esistente, ma è il risultato della selezione e del perfezionamento delle nozioni trasmesse dalle generazioni passate. Per dimostrarlo, lo storico della filosofia Piero Vassallo ripercorre il deragliamento gnostico e antirealistico della “ragione” moderna, mostrando l’essenza tenebrosa e dissolutoria delle pseudofilosofie di Cartesio, Kant, Hegel, Nietzsche, Heidegger, Simone Weil, Bataille, Kojève, Guénon, Evola e della Scuola di Francoforte. A questi autentici mostri della ragione Vassallo oppone le luminose rivisitazioni del pensiero tomista, vichiano, rosminiano e kierkegaardiano operate nel Novecento da veri e propri geni metafisici quali – per nominare solo i più rappresentativi – Michele Federico Sciacca, Cornelio Fabro ed Étienne Gilson. Costoro hanno saputo confutare magistralmente le calunnie all’essere e le staffilate alla razionalità umana che hanno fatto il disonore dei maestri del sospetto e dei “pensierodebolisti” assisi sulle cattedre della banalità e dell’immoralismo. Il preconcetto secolarista, si è oggi trasformato in strumento di perdizione, cioè di quel totalitarismo della dissoluzione (Del Noce) che ultimamente sussurra perfino dai pulpiti, consacrati alla teologia conformistica. Unico rimedio ad una tale situazione di crisi è non tanto uno sterile e mummificato “tradizionalismo”, ma una riscoperta attiva e dinamica della “tradizione viva e perenne” della filosofia occidentale. Infatti, come scriveva Francisco Elias de Tejada, “La posizione che suole contrapporre la tradizione al progresso è assurda, giacché non esiste progresso senza tradizione né tradizione senza progresso”.
L’Autore
Piero Vassallo è nato a Genova nel 1933. Laureato in filosofia è stato docente nella sede genovese della Facoltà teologica del Nord Italia. Giovanissimo ha iniziato l’attività di pubblicista sotto la guida di Giano Accame, è entrato nella redazione della rivista Lo Stato diretta da Baget Bozzo. Di seguito ha collaborato con Guido Gonnella (Il Centro), con Nino Radano (Il Quotidiano), con Antonio Livi (Studi Cattolici), Silvano Vitale (L’Alfiere) e nuovamente con Baget Bozzo (Renovatio). Negli anni Settanta ha fatto parte dell’associazione dei giusnaturalisti cattolici (fondata da Francisco Elias de Tejada) ed ha collaborato con la Fondazione Gioacchino Volpe. Tra il 1997 ed il 2003 è stato editorialista del quotidiano romano Il Tempo. Fra le sue opere “Pietro Mignosi e la Tradizione” (Palermo 1989), “Introduzione allo studio di Vico” (Palermo 1992), “La filosofia del regresso” (Napoli 1996), “La restaurazione dellametafisica” (Genova 2006) e “La cultura della libertà” (Genova 2007).
Nota breve
La Tradizione classica e cattolica e la rivoluzione dissolutoria contemporanea
Argomento: Filosofia, società, cultura
Collana: Filosofica 9
Pagine 192
Altezza 21
Larghezza 15
Tipo di copertina: brochure
Prezzo: € 18,00 (estero e corriere 28,00)
Isbn: 978-88-6409-006-1
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Risorgimento ed Europa di Angela Pellicciari su Zenit

La Chiesa cattolica tra Risorgimento e Unione europea
Miti, pericoli, antidoti per evitare che si ripetano alla Ue gli errori del Risorgimento
di Antonio Gaspari
ROMA, giovedì, 30 aprile 2009 (ZENIT.org).- E’ arrivato nelle librerie l’ultimo libro di Angela Pellicciari, dal titolo “Risorgimento ed Europa. Miti, pericoli, antidoti” (Edizioni Fede & cultura).
L’autrice, storica del Risorgimento e dei rapporti fra papato e massoneria, ripropone una lettura originale e arguta del Risorgimento italiano, mostrando come i Savoia e i liberali si appropriarono dell’ingente patrimonio che nel corso del tempo la popolazione aveva donato alla Chiesa cattolica e tramite la Cristianità ai poveri.
Angela Pellicciari rivela il vero volto di molti personaggi risorgimentali e fa il confronto con l’attuale processo di unificazione europea, paventando i rischi di un totalitarismo nichilista, che si presenta con la maschera della democrazia, della tolleranza e del rispetto della diversità.
Per approfondire un tema di così scottante attualità ZENIT ha intervistato Angela Pellicciari.
Nel libro lei esprime un giudizio molto negativo del Risorgimento. Perchè?
Pellicciari: Perché è stato guidato da un’élite liberal-massonica convinta che la cattolicità degli italiani fosse un male da estirpare. E perché, per fare gli italiani diversi da quelli che erano, in nome della libertà e della costituzione, sono stati infranti uno dopo l’altro tutti gli articoli dello Statuto.
Perché l’1% della popolazione, sopprimendo tutti gli ordini religiosi e tutte le opere pie, si è appropriato della ricchezza accumulata nel corso di mille e cinquecento anni dall’Italia cattolica con la conseguenza che, grazie al Risorgimento, siamo diventati un popolo di emigranti.
Sarebbe stata possibile l’Unità d’Italia senza Risorgimento?
Pellicciari: Scrive Antonio Rosmini nel saggio Sull’unità d’Italia composto nel 1848: “L’unità d’Italia! E’ un grido universale, e a questo grido non v’ha un solo italiano dal Faro alle Alpi a cui non palpiti il cuore. Sarebbe dunque gettare parole al vento provarne l’utilità o la necessità: dove sono tutti d’accordo, non v’ha questione”.
Tutti, Papa compreso, volevano l’unificazione della penisola in quella che veniva chiamata “Lega”. Le cose sono andate diversamente perché, grazie all’appoggio determinante delle nazioni straniere, Carlo Alberto ed i suoi successori hanno voluto “fare da sé” contro tutti gli altri.
Che ruolo ha avuto la massoneria nei moti risorgimentali?
Pellicciari: La massoneria è stata l’anima del Risorgimento. Questo riconoscono unanimemente sia le fonti cattoliche, ed in particolare le encicliche di Pio IX e Leone XIII, sia le fonti massoniche.
Quali sono gli elementi comuni che, secondo lei, legano il Risorgimento alla odierna Unione europea?
Pellicciari: Il denominatore comune è, a mio modo di vedere, la gnosi. Ancora una volta, proprio come all’epoca del Risorgimento, un’élite che si ritiene moralmente ed intellettualmente superiore (gli gnostici per l’appunto, ovvero coloro che conoscono, coloro che sanno) progetta in modo “scientifico” il futuro dell’Europa.
Futuro che non prevede la sopravvivenza del cristianesimo. Per questo non è stato possibile, contro la palmare evidenza dei fatti, riconoscere il ruolo avuto dalla Chiesa cristiana nella costruzione dell’identità europea.
Per questo è stato rifiutato a Rocco Buttiglione, designato dal precedente governo Berlusconi, il ruolo di Commissario europeo. Per questo la Santa Sede è stata condannata dal Parlamento europeo trenta volte per violazione dei diritti umani.
Ancora una volta un progetto convintamente appoggiato da cristiani (Schuman, De Gasperi, Adenauer) rischia di rivolgersi brutalmente contro di loro.
Perchè la gnosi, di cui la massoneria è espressione, si oppone alla Chiesa cattolica?
Pellicciari: La gnosi si oppone alla verità rivelata e contesta la realtà del diritto naturale. Il pensiero gnostico non si propone di comprendere il mondo ma di cambiarlo.
A partire dalla Rivoluzione Francese e da Napoleone, i frutti dei vari progetti di liberazione dell’umanità non hanno cessato di tradursi in oceani di sangue. Ma questo non è bastato.
La gnosi si è sempre rifiutata di prendere atto dei propri errori. Si è sempre rifiutata di riconoscere la verità dei dieci Comandamenti, precipitando nel vortice inarrestabile e spaventoso del mondo senza Dio. Se, dopo le catastrofi di comunismo e nazismo, si è smesso di idolatrare lo stato, l’idolatria è stata trasferita sul singolo ed i suoi desideri. Sposando un relativismo spinto fino alla negazione della realtà, si è giunti a contestare la divisione dell’umanità in due sessi biologicamente distinti, per teorizzare l’esistenza di cinque generi liberamente scelti, partendo da un progetto definito culturale.
Quali sono i legami tra l’agnosticimo massonico e le politiche contrarie alla vita e alla famiglia?
Pellicciari: Uno degli elementi che accomuna le varie sette gnostiche è il disprezzo per la materia. Secondo questa visione della realtà è bene che l’anima si liberi il prima possibile dal corpo.
E’ azzardato ipotizzare che rispondano a questo obiettivo la denatalità, la diffusione della droga, la sponsorizzazione di pratiche sessuali per definizione lontane dalla procreazione, la santificazione del preservativo (basta vedere il linciaggio cui è stato sottoposto il papa dopo la visita in Camerum), ed, infine, la propaganda della stessa morte?
Quando si parla di qualità della vita e si suggerisce come soluzione la morte, quando si definisce la morte “dolce” e “buona”, non si sta ancora una volta negando la realtà? Non si sta facendo finta di ignorare che la morte è un dramma spaventoso contro cui tutti combattiamo ogni giorno? Non si sta dimenticando che la morte, come dice il libro della Sapienza, è l’unica realtà non creata da Dio ma entrata nel mondo per invidia di Satana? La gnosi è da sempre un nemico mortale dell’uomo e della Chiesa.

Romano Amerio è la risposta a Enzo Bianchi

(di Francesco Agnoli, su Il Foglio)
Sono reduce dalla lettura dell’ultimo libro di Enzo Bianchi, Per un’etica condivisa (Einaudi), e non posso non riflettere sulla spaventosa distanza che esiste tra il pensiero di questo famoso monaco mediatico e l’ortodossia cattolica. L’errore di fondo, che inficia tutto il ragionamento di Bianchi, è quell’ ottimismo mondano che si è insinuato profondamente nel pensiero ecclesiastico e cattolico nell’epoca del post Concilio. Mondano, intendo, perché ignora o sminuisce del tutto l’esistenza del peccato. “Quando la Chiesa, scriveva parecchi anni fa il Cardinal Journet al cardinal Siri, prenderà coscienza sino a che punto lo spirito del mondo è penetrato dentro essa, si spaventerà”.
Ma come è penetrato questa mentalità, di cui Bianchi è oggi uno dei massimi alfieri? A mio modo di vedere all’epoca del Concilio, allorchè in molti si diffuse l’idea che col mondo, inteso in senso evangelico, occorresse trovare un modus vivendi pacifico e conciliante, sempre e comunque. Bisognerebbe anzitutto ritornare a quegli anni, per evitare di costruire leggende e miti come quelli che piacciono ai vari Melloni, Mancuso e, appunto, a Enzo Bianchi: il concilio non fu una pacifica e simpatica riunione di vescovi e periti, tutti in perfetto accordo tra loro, ma fu una lotta dura, che vide la presenza di posizioni problematiche e critiche, rispetto alla volontà di “aggiornamento” e “innovazione”, di molti uomini di grande spessore, dal cardinal Siri, più volte papabile, ai cardinali Ottaviani, Ruffini, Bacci, sino al Coetus Internationalis patrum, formato da centinaia di padri conciliari, e raccolto intorno a mons. Marcel Lefebvre.

I documenti conciliari sorsero dunque in mezzo alla tempesta, agli scontri, talora veramente aspri, tra “conservatori” e “progressisti”, con correzioni, emendamenti, e ambiguità, inevitabili laddove un documento nasca come mediazione, come compromesso tra posizioni divergenti. A mio modo di vedere, l’ambiguità più grande fu quella sull’atteggiamento da tenere, appunto, rispetto al mondo, allo spirito moderno e alle sue filosofie. Il concilio volle essere pastorale, e quindi soffermarsi proprio e soprattutto, in questo caso senza godere dell’infallibilità, sui modi, le strategie, per una nuova evangelizzazione, efficace e fruttuosa. Il principio guida, che fu indicato da Giovanni XXIII, fu quello di utilizzare, rispetto alla “severità” del passato, la “medicina della misericordia”.

Ci fu insomma un cambio di passo, che Romano Amerio, oggi riscoperto e finalmente ristampato da Fede & Cultura, commentò tra l’altro con queste profetiche parole: “Questo annuncio del principio della misericordia contrapposto a quello della severità sorvola il fatto che, nella mente della Chiesa, la condanna stessa dell'errore è opera di misericordia, poiché, trafiggendo l'errore, si corregge l'errante e si preserva altrui dall'errore. Inoltre verso l'errore non può esservi propriamente misericordia o severità, perché queste sono virtù morali aventi per oggetto il prossimo, mentre all'errore l'intelletto repugna con un atto logico che si oppone a un giudizio falso. La misericordia essendo, secondo S. theol., II, II, q. 30, a. 1, dolore della miseria altrui accompagnato dal desiderio di soccorrere, il metodo della misericordia non si può usare verso l'errore, fatto logico in cui non vi può essere miseria, ma soltanto verso l'errante, a cui si soccorre proponendo la verità e confutando l'errore. Il Papa peraltro dimezza un tale soccorso, perché restringe tutto l'officio esercitato dalla Chiesa verso l'errante alla sola presentazione della verità: questa basterebbe per sé stessa, senza venire a confronto con l'errore, a sfatare l'errore. L'operazione logica della confutazione sarebbe omessa per dar luogo a una mera didascalia del vero, fidando nell'efficacia di esso a produrre l'assenso dell'uomo e a distruggere l'errore” (Romano Amerio, Iota unum, Fede & Cultura).

Questo brano magistrale mi sembra possa essere utile per far fronte anche oggi a questo ottimismo mondano, che nasce all’interno del mondo cattolico, e che si presenta con alcune caratteristiche costanti: la condanna più o meno aspra delle decisioni e della pastorale della Chiesa del passato; il ripudio della Tradizione e il tentativo di presentare il Vaticano II come una sorta di nuova Pentecoste, di vero e proprio atto di nascita della cosiddetta “Chiesa conciliare”. Ottimismo mondano di cui il citato Bianchi costituisce uno degli esempi più solari, in quanto espressione di un tipo di cattolicesimo adulterato che ritiene che l’essenziale sia raggiungere una posizione condivisa, una mediazione, un punto di incontro, quale esso sia, tra la Verità di Cristo e le posizioni, anticristiche, del mondo. Se analizziamo il libro citato ne troviamo subito, nell’incipit, il significato di fondo: Bianchi vuole fare pulizia, anzitutto all’interno del mondo cattolico, mettere i puntini sulle i, spiegare quale debba essere il comportamento dei suoi fratelli di fede. Costoro, scrive Bianchi, debbono smetterla di riunirsi in “gruppi di pressione (sic) in cui la proposta della fede non avviene nella mitezza e nel rispetto dell’altro, per diventare intransigenza e arrogante contrapposizione a una società giudicata malsana e priva di valori”. La lettura del seguito fa capire bene il significato di queste parole, del tutto simili a quelle di un Augias o di un Odifreddi: esse sono una condanna chiara, anche se un po’ ipocrita nelle modalità, della posizione della Chiesa e dei cattolici, riguardo al referendum sulla legge 40 e alla questione dei pacs-dico.

Una condanna, in generale, di ogni tentativo legale e leale da parte dei cattolici, e non solo, di affermare valori non negoziabili in politica. Bianchi lo ripete più volte, spiegando quello che è ovvio, e cioè che “il futuro della fede non dipende da leggi dello stato”, ma dimenticando che i cattolici, come tutti gli altri cittadini, sono chiamati ad esprimere la loro visione di società, qui e oggi, e non a ritirarsi nelle sagrestie. Il cattolicesimo che Bianchi vorrebbe è invece insignificante e inesistente sul piano culturale e politico, e finisce addirittura per delineare una religiosità amorfa, astratta, spiritualista, che è lontanissima dall’idea originaria del cattolicesimo.

Ogni scontro e polemica attuale, ogni rinascita odierna dell’anticlericalismo, continua il monaco, è sempre colpa dei credenti, “è sempre una reazione a un clericalismo che si nutre di intransigenza, di posizioni difensive e di non rispetto dell’interlocutore non cristiano”. A parte che non si capisce bene, a leggere queste parole, a quale dibattito abbia assistito Bianchi in questi anni, il punto centrale è un altro: nel togliere al cristianesimo la sua capacità di incarnarsi nella realtà, per plasmarla concretamente, Bianchi finisce per negare cittadinanza al cristianesimo stesso e per scegliere come punto di riferimento assoluto e ingiudicabile, quasi metafisico, la Costituzione repubblicana. Da essa deriverebbe, udite, udite, “l’assoluto diritto dello stato di legiferare su tutte quelle realtà sociali fondate o meno sul matrimonio (sia religioso che civile)”. “Diritto assoluto”, scrive Bianchi: una affermazione, a ben vedere, che oggi, dopo l’esperienza delle statolatrie totalitarie, neppure il più laicista tra i giuristi arriverebbe, almeno nella teoria, a sostenere. In tutto il suo argomentare Bianchi annulla il concetto di Verità, affermando un relativismo pieno; sostiene la perfetta equivalenza tra fede e ateismo (“l’uomo può essere umanamente felice senza credere in Dio, così come può esserlo un credente”); nega di fatto in più passaggi, con linguaggio equivoco, ma chiaro, il primato petrino, a vantaggio del “primato del Vangelo”, e propone come unico riferimento del suo argomentare, da buon protestante, solo e soltanto la bibbia, la sua “lettura personale e diretta” (sic), etsi Ecclesia non daretur.

“Per un’etica condivisa” è appunto un inno ad un “modo”, ad uno “stile”, al “come”, con cui i cristiani dovrebbero presentarsi oggi ai non credenti: un modo, uno “stile”, inaugurato dal Concilio Vaticano II, che sarebbe “importante quanto il messaggio”. Coerentemente, in tutto il libro manca, appunto, il messaggio! Non vi è mai una affermazione chiara di una verità teologica o morale: si parla di “etica condivisa”, si lanciano sfrecciatine piuttosto velenose ai cattolici, al centro destra, a Berlusconi, a Maroni, a Mel Gibson, a Ferrara, come fossero loro i problemi della cristianità, ma poi non si arriva mai ai contenuti: tutto puro stile, buonismo a buon mercato, mai una parola, una posizione, quale che sia, sulla clonazione, la fecondazione artificiale, le famiglia, l’eutanasia, la sessualità, e tutti i problemi più scottanti dell’etica odierna. Al massimo qualche vago riferimento alla pace, e un accenno, velatissimo, per carità, alla 194, la legge che legalizza l’aborto, ricordando però, anzitutto e soprattutto, che i cattolici dovrebbero rispettare ogni legge nata dal “confronto democratico”, e proclamata, lo si ricordi, da quello Stato che ha potere “assoluto” di vita e di morte.

A Bianchi sfugge, come avrebbe detto Amerio, che lo stile è questione secondaria, nel senso che viene dopo, logicamente e non cronologicamente, perché l’Amore procede dalla Verità, e non viceversa. Gli sfugge, inoltre, che il suo irenismo indifferentista e relativista è stato già bollato da san Pio X, allorché deprecava quanti alla sua epoca si adoperavano per un “adattamento ai tempi in tutto, nel parlare, nello scrivere e nel predicare una carità senza fede, tenera assai per i miscredenti”, all’apparenza, ma in realtà priva di vera misericordia, perché spoglia di verità. A chi continuava a sponsorizzare una “conciliazione della fede con lo spirito moderno”, Pio X indicava il crocifisso, e ricordava che certe idee “conducono più lontano che non si pensi, non soltanto all’affievolimento, ma alla perdita totale della fede”. Perché se io non fossi un credente, e leggessi, per cercavi una parola di verità, il libro di Bianchi, arriverei alla conclusione che la verità non esiste, e che la mia sete di verità è roba da persone senza “stile”. Caro Bianchi, la verità, nella carità, mi dice sempre un’amica pro life, ma: la verità, per carità! Questo è l’unico stile, della Chiesa, di Cristo e del suo Evangelo, cioè della buona novella (vede che la novella, il messaggio, è importante?)
(Il Foglio, 26 aprile 2009).

Avvenire: recensione di "Contro la post-religione"

Prima del positivismo ottocentesco, i sapienti erano anche umanisti; oggi c’è invece l’idea che solo la scienza rappresenti in modo corretto la realtà.
Parla il latinista Oniga

L’umanesimo difeso dai cristiani
DI LORENZO FAZZINI
« L’attacco anticristiano è il pretesto per colpire il vero obiettivo, che non è il sen­timento religioso, ma ' la giungla del sedicente pensiero umanistico' » . Di qui nasce una « post- religione » di stampo « nichilista e consumista, fa­tale per l’intelligenza e oppressiva per la gioia di vivere » . Immerso nei suoi studi classici – è docente di Lingua e letteratura latina all’università di U­dine – Renato Oniga non ha trattenu­to un sobbalzo intellettuale «classico» di fronte alla pubblicistica anti- cri­stiana, da Piergiorgio Odifreddi a Ch­ristopher Hitchens passando per Cor­rado Augias. Ne è scaturito Contro la post- religione. Per un nuovo umane­simo cristiano ( Fede & Cultura, pp. 222, euro 18; tel. 045/ 941851), un sag­gio in cui il latinista friulano – sup­portato da Marc Fumaroli, membro dell’Académie française (che firma la pre­fazione qui pubblicata in ampi stralci) – condensa alcune riflessioni sulle re­centi polemiche anti- reli­giose.
Perché l’attacco anti- cri­stiano di Odifreddi è un’aggressione al pensie­ro umanistico?
« In Odifreddi ci sono alcu­ne accese prese di posizio­ne contro l’umanesimo: e­gli afferma che la scienza dovrebbe sostituire il ' sedicente' pensiero umanistico e che l’unico modo di pensare razionale sull’uomo sarebbe quello scientifico. Vuole arri­vare al ' pensiero unico', per cui solo la scienza sarebbe capace di sostituirsi alla filosofia e alla religione: una vera caricatura della scienza! Purtroppo, questo pregiudizio è rintracciabile an­che in una certa recente politica sco­lastica, quando si sostiene che l’Ita­lia, rispetto ad altri Paesi più ' evolu­ti', darebbe poco spazio alle materie scientifiche. In queste tendenze in­travedo il pericolo che la tradizione umanistica cada sotto i colpi di un pensiero scientista globalizzato » .
Quali sono i tratti principali della « post- religione »?
« Riprendendo alcuni spunti di Gior- gio Israel, che per primo ha denun­ciato questi aspetti del pensiero post­moderno, mi sembra che i dogmi principali siano l’odio di sé, lo scien­tismo e il relativismo. L’odio di sé si manifesta nella volontà di autodi­struzione della tradizione occidenta­le. Il relativismo viaggia sul piano eti­co: qualsiasi opinione può essere e­quivalente a un’altra, eccetto la scien­za, che ha valore categorico. Ho no­tato una cosa curiosa: gli argomenti u­sati oggi contro il cristianesimo non sono altro che una riproposizione del­le accuse dei pensatori pagani verso i primi cristiani, ad esempio le invetti­ve di Celso. È un po’ strano che, per criticare il cristianesimo, la modernità scientifica non trovi di meglio che ri­proporre accuse vecchie di 2000 an­ni, già confutate dagli apologeti cri­stiani! C’è pure un risvolto inquietan­te: nell’antichità si è iniziato disprez­zando il pensiero cristiano, poi si è ar­rivati alle persecuzioni. Odifreddi di­chiara che il cristianesimo è indegno della razionalità dell’uomo. Per qual­cuno, può diventare giusto combat­terlo » .
« Nemici » del cristianesimo, « super­sensibili » verso l’islam: come spiega la schizofrenia dei « post­religiosi » ?
« Primo: si tratta di una calcolata pru­denza, per non dire una certa vigliac­cheria. Prendersela con il cristianesi­mo apre molte porte in certi ambien­ti culturali: se si scrive un libello an­ti- cristiano, si riesce a pubblicarlo fa­cilmente. Dare alle stampe un volume critico sull’islam è più difficile: una casa editrice ci pensa due volte. Inol­tre, oggi l’islam viene strumentaliz­zato nel progetto di avversione al cri­stianesimo. L’estremismo islamico ha la potenzialità di mettere in discus­sione la civiltà cristiana come la li­bertà di parola o la condizione della donna. Chi nutre odio verso l’Occi­dente, utilizza tutto quello che gli fa comodo » .
Lei scrive: « Il tentativo di ' arruola­re' la cultura scientifica contro la cul­tura umanistica nella guerra antire­ligiosa va nettamente rifiutato » . Un « arruolamento » recente o risalente agli antichi?
« È la novità di una certa cultura mo­derna, a partire dal positivismo otto­centesco. Prima gli scienziati erano anche umanisti, basti pensare ad Ari­stotele o Galileo. Con Comte nasce in­vece l’idea che solo la scienza rap­presenti la realtà in maniera corretta. Va recuperato il concetto che tra scienza e umanesimo non vi è con­trapposizione, ma la sintesi è possibile nel­l’uomo come soggetto dei saperi. Non è un caso se proprio dai li­cei classici, dove tanto peso hanno le materie umanistiche, siano u­sciti molti scienziati, mentre non si può di­re che gli istituti tecni­ci abbiano sfornato numerosi premi No­bel… » .
Dai « post- religiosi » ci possono salvare i clas­sici?
« Sì. L’umanesimo è fondato sulla let­tura dei classici, nella classicità ci so­no risorse per combattere le degene­razioni dello scientismo e recuperare gli autentici valori di scienza, cultura e humanitas. Sono stati i greci e i la­tini ad avviare quelle riflessioni sul­l’uomo, poi illuminate dal cristiane­simo, che sono alla base della nostra civiltà, ad esempio nell’acquisizione dei diritti umani. L’umanesimo non è solo cristiano: anche l’islam e l’ebrai­smo hanno al loro interno grandi tra­dizioni umanistiche. Esso, più che la scienza, può svolgere oggi un ruolo importante contro le degenerazioni integraliste, formulando valori uni­versali come la tolleranza e l’apertu­ra alle altre culture » .
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«Il tentativo di arruolare la cultura tecnica contro quella letteraria nella lotta antireligiosa va rifiutato. Con valori universali i classici possono contrastare l’integralismo»
Destinazione

dalla Prefazione al volume Contro la post-religione
Fumaroli: la Chiesa ci ha regalato la benevolenza

La moda vuole che Dio sia morto, ma solo quello dei cristiani: la scienza ha dimo­strato che non esiste, mentre gli altri dèi, più antichi o più recenti, sdoganati dalla gene­rosità dell’antropologia, mantengono nel mondo il diritto di rimanere vivi e in piena for­ma. Poiché il Dio dei cristiani oggi è morto, in realtà lo era fin dall’inizio, e la conseguenza s’impone logicamente: il cristianesimo in ge­nerale è un lungo e gigantesco errore, che l’Eu­ropa deve cancellare dalla sua memoria, se vuole essere davvero emancipata, moderna, scientifica, e globale. Si concede, al massimo, di richiamarsi alla sociologia di Max Weber e relativizzare la damnatio capitis del cristiane­simo, quando ci si volge all’universo prote­stante: quei cristiani, almeno, con la loro etica del lavoro e del successo, se non con la loro teologia, hanno fatto degli Stati Uniti, dopo l’Inghilterra, l’Olanda e la Prussia, la nazione vincente della nostra modernità trionfante. Ma il cattolicesimo non ha alcuna scusa. Esso è davvero, o poco ci manca, l’errore assoluto. Come l’asino della favola di La Fontaine, Gli a­nimali ammalati di peste, è da lui che vengono tutti i nostri mali, e tutti gridano « dàgli » al col­pevole, in ultima analisi, di ogni ignoranza, di ogni tirannide e di ogni arretratezza. (…) Uno dei grandi meriti del cattolicesimo, ignorato dai suoi detrattori i­gnoranti, ma che do­vrebbe meritargli l’apprezzamento dei non credenti meno estranei alla storia e alla filologia, è di a­ver portato nel suo patrimonio e veicola­to fino a noi il fior fiore filosofico, mo­rale, e anche mitolo­gico- allegorico, della civiltà greco- latina di cui, in Occidente, la Chiesa di Agostino e di Girolamo ha preso il testimone tra III e IV secolo. (…) Siamo ormai stanchi del­l’antifona, ripetuta dal nazionalismo della filosofia tede­sca, secondo cui la luce greca sarebbe stata affievolita se non spenta dai Romani, pri­ma di essere completamente sotterrata dalla Chiesa romana, per riapparire infine nella lin­gua di Fichte e nella musica di Wagner. (...) Ag­giungerei un’altra prova a queste dimostrazio­ni, premesse di un lessico della civiltà europea di ascendenza cattolica, di cui è ormai divenu­ta evidente l’urgenza. Si tratta della fortuna, nell’Europa cattolica, della nozione aristoteli­ca di eutrapelia, « piacevolezza » . San Tommaso non si accontenta di importarla nel suo mira­bile Commento all’Etica a Nicomaco: ne fa una delle virtù cardinali del cristiano. Questa no­zione morale complessa era per Aristotele il privilegio dell’uomo libero di Atene: presup­poneva il sorriso, la leggerezza nella conversa­zione, il senso della distensione misurata, con­tagiosa e generosa. Tommaso la generalizza e la struttura nella gioia propriamente cristiana, ponendo così le premesse di tutta la letteratu­ra che l’umanesimo, sia italiano che francese, ha dedicato all’urbanità, alla sprezzatura, al sorriso, alla socievolezza benevola. È davvero un peccato che il giansenismo, eresia prote­stante nel seno stesso del cattolicesimo, abbia costretto la teologia morale cattolica, sulle di­fensive fin dal secolo XVII, a passare sotto si­lenzio l’eminente virtù dell’eutrapelia, una delle più graziose che l’Europa pre- moderna abbia praticato, uno dei segreti della sua gran­de arte. Nessuna virtù oggi è più dimenticata e violentata. «Il cattolicesimo ha importato in Europa l’eutrapelia di Aristotele cioè il sorriso, la gioia, la leggerezza. Finché venne il giansenismo...» Marc Fumaroli