Karl Rahner - Alle origini del buonismo

Alle origini del buonismo

La contraffatta teologia di Karl Rahner

Nell’immaginario educato dal trionfante relativismo, “buono” è il qualunque pensatore inteso a scongiurare i conflitti scatenati dall’affermazione che esistono princìpi tra loro irriducibili.
Padre Giovanni Cavalcoli o. p., l’autore del magistrale saggio “Karl Rahner – Il Concilio Tradito” sulla teologia del teologo tedesco, edito in questi giorni dalla veronese Fede & Cultura, rammenta, al proposito, che “Il voler distinguere con assolutezza il vero dal falso sembra a molti espressione di presunzione e di intolleranza, sorgente di discordia e mancanza di rispetto per le idee e la coscienza degli altri. Il concetto stesso di una religione assolutamente vera che primeggi sulle altre appare a molti una pretesa imperialistica di questa sulle altre religioni” (“Karl Rahner Il Concilio tradito, pag. 16).
Il pregiudizio buonista, infatti, esige pro bono pacis che un’affermazione vera dal punto di vista di colui che la pronuncia, sia vera anche dal punto di vista di colui che dichiara l’esatto contrario.
Soggiacente alla bontà che vuole il sacrificio della ragione sull’altare dell’armonia ad ogni costo, èla sentenza del guru sessantottino Herbert Marcuse, che (nel saggio “Eros e civiltà”) ha definito fascista (che per lui significava intollerante e intrinsecamente violento) il principio di non contraddizione, secondo cui un’affermazione non può essere vera e falsa nello stesso tempo e sotto il medesimo profilo.
Va da sé che il contrasto tra l’intollerante verità e la pace è una figura sofistica, concepita dai filosofi ultramoderni di scuola francofortese per nascondere la decisione di aggirare i princìpi indeclinabili della logica, princìpi che (a loro avviso) non sono iscritti e leggibili nella realtà ma inventati dal fascista Aristotele.
Ora padre Cavalcoli cercando i possibili ispiratori della patologica avversione alla verità, non ha incontrato gli apostoli della pace ma il maestro di Karl Rahner, Martin Heidegger, l’autore dello stravolgente principio secondo cui “la verità non sta nel giudizio col quale l’uomo adegua il suo pensiero all’essere, ma sta nella comprensione atematica, nell’esperienza trascendentale, come situazione esistenziale emotiva del soggetto autocoscienze, nel quale l’essere si identifica con l’essere pensato, in modo tale che la verità del pensiero è al contempo la verità dell’essere e la verità del soggetto” (op. cit., pag. 41).
Heidegger (e al suo seguito Rahner) vantavano la loro appartenenza alla più alta e aggiornata scuola di metafisica. In realtà il loro pensiero approda a risultati non molto diversi da quelli ottenuti da Jean Paul Sartre e da Claude Levy Strauss, autori di uno sgangherato sistema antimetafisico, tendente ad abbassare l’intelletto umano al livello della sensazione animalesca.
Svilimento della ragione umana e retrocessione dell’immanentismo moderno al panteismo antico, costituiscono l’orizzonte ultimo del pensiero heideggeriano e rahneriano.
Ridotto la filosofia ad universale esperienza emotiva, l’errore , la non adeguazione dell’intelletto alla realtà, sprofonda in un cappello a cilindro: di qui l’opinione temeraria (affermata da Rahner) che tutti conoscano la verità attraverso la c. d. esperienza trascendentale.
Rahner afferma che la concordia inizia dal riconoscimento che tutti sono nella verità e nessuno sbaglia. Di conseguenza propone la tesi che attribuisce agli atei la qualifica di cristiani anonimi, che in quanto tali sono naturalmente destinati alla beatitudine eterna.
Per attingere un tale pensiero Rahner è costretto ad aderire al disconoscimento modernista della dottrina cattolica sulla grazia: “la natura-grazia è sufficiente ad assicurare la felicità e la divinizzazione dell’uomo” (op. cit. pag. 173).
Oscurata la nozione della grazia la trascendenza divina svanisce: Rahner “finisce nel vedere nel soprannaturale niente più che uno sviluppo totale e finale del naturale o un approfondimento di quest’ultimo, come se l’uomo elevandosi al massimo delle sue possibilità potesse diventare Dio”.
Il sottotitolo del saggio (“Il Concilio tradito”) manifesta l’opinione dell’autore sull’influsso dell’opinione rahneriana sui cristiani anonimi nelle stravaganze ecumeniche elucubrate in nome di un presunto “spirito del concilio Vaticano II”.
Ma non solo nelle stravaganze postconciliari: padre Cavalcoli, infatti, facendo propria e sviluppando una tesi di monsignor Brunero Gherardini, dimostra che il buonismo di Rahner si è insinuato di soppiatto nei testi conciliari, ad esempio nella traduzione della Gaudium et Spes, che invita ad un esame più serio e profondo delle ragioni che si nascondono nella mente degli atei, quasi che esistano delle serie ragioni per essere atei.
Di qui l’auspicio, formulato nella magnifica conclusione, che il Magistero della Chiesa sconfessi la finzione buonista e “metta in luce con chiarezza quali sono le dottrine nuove del Concilio, non secondo un’esegesi di rottura, ma come esplicazione della Tradizione, lasciando così una giusta libertà di critica nei confronti invece di quelle disposizioni pastorali che sembrano o si sono verificate meno opportune e magari rivedibili o abrogabili per assicurare e promuovere il bene e il progresso della Chiesa nella Verità” (op. cit., pag. 345).
Senza ombra di dubbio l’auspicio di padre Cavalcoli corre incontro alle sagge intenzioni di Benedetto XVI, oltre che alle speranze di tutti i credenti. La lettura del suo pregevole saggio, pertanto, è raccomandata a quanti hanno a cuore il vero bene della Chiesa cattolica.

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