La Liturgia Tradizionale riavvicina alla Chiesa

“La lettera apostolica di Benedetto XVI Summorum Pontificum sull’uso della liturgia romana anteriore alla riforma effettuata nel 1970 sta facendo tornare anche alcuni non cattolici alla piena comunione con Roma. Giungono richieste in tal senso dopo che il Papa ha rinnovato la possibilità di celebrare secondo l’antico rito”. Lo documenta, in una intervista all’Osservatore Romano di venerdì 28 marzo 2008, il cardinale Darìo Castrillòn Hoyos, presidente della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, dopo la pubblicazione del documento pontificio sugli Acta Apostolicae Sedis, chiarendo i contenuti ed evidenziando l’importanza come strumento per conservare i tesori della liturgia che risale a san Gregorio Magno e per un rinnovato dialogo con quanti, in ragione della riforma liturgica, si sono allontanati dalla Chiesa di Roma. La pubblicazione sugli Acta ha preceduto di qualche giorno le nomine di Benedetto XVI a vice presidente dell’Ecclesia Dei di monsignor Camille Perl, e a segretario di mons. Mario Marini.
La Lettera, sotto forma di motu proprio, non si riferisce all’attuale forma normale – la forma ordinaria – della liturgia eucaristica, che è quella del Messale Romano pubblicato da Paolo VI e poi riedito da Giovanni Paolo II in due occasioni; ma si riferisce all’uso della forma straordinaria, che è quella del missale romanum anteriore al Concilio, pubblicato con l’autorità di Giovanni XXIII. Non si tratta di due riti differenti, ma di un uso duplice dell’unico rito romano. E’ la forma celebrativa che è stata usata per più di 1400 anni. Questo rito, che potremmo chiamare gregoriano, nella fede divenuta cultura cristiana ha ispirato le messe di Palestrina, Mozart, Bach e Beethoven, grandi cattedrali e meravigliose opere di pittura e scultura.
“Grazie al motu proprio – spiega il porporato colombiano -, non pochi hanno chiesto il ritorno alla piena comunione e alcuni sono ritornati. In Spagna, l’”Oasi di Gesù Sacerdote”, un intero monastero di clausura con trenta suore guidate dal loro fondatore, è già riconosciuto e regolarizzato dalla Pontificia Commissione; poi ci sono casi di gruppi americani, tedeschi e francesi in via di regolarizzazione. Infine ci sono singoli sacerdoti e parecchi laici che ci contattano e ci chiamano per una riconciliazione e d’altra parte ci sono tanti altri fedeli che manifestano la loro gratitudine al Papa e il compiacimento per il motu proprio”. Ma la gran parte – occorre non dimenticarlo - è felice e oggi più fedele alla forma attuale, la forma ordinaria della liturgia post-conciliare di Paolo VI, vivendo, però, il senso della cattolicità e dell’unità nella continuità dinamica con tutti i tempi o Tradizione.

E’ giunto il momento di alcune chiarificazioni
Non sono utili a nessuno certe accuse come quelle che il linguaggio e i gestii del rito antico sembrerebbero monopolio esclusivo del ministero sacerdotale, mentre i fedeli risulterebbero estranei e quindi esclusi da un rapporto diretto con Dio. In occasione del Battesimo del Signore, per esempio, Benedetto XVI ha celebrato nella Cappella Sistina con il volto verso il crocifisso. Il Papa ha celebrato in italiano secondo la forma ordinaria, che non esclude, però, la possibilità di celebrare verso l’altare e non versus populum e che prevede anche la celebrazione in latino. Questa forma ordinaria attuale è la messa che normalmente i sacerdoti, secondo la riforma post – conciliare, celebrano; mentre la forma straordinaria è la messa anteriore alla riforma liturgica che a tenore del motu proprio oggi tutti possono celebrare per l’utilità pastorale e che non è stata mai proibita.
Alcuni trovano difficoltà ma la maggior parte è d’accordo con il Papa. Si incontrano difficoltà pratiche. Non si tratta di un ritorno al passato, ma di rendere il presente più ricco di due possibilità invece di una. C’è attenzione per quelli che sono legati all’antica liturgia e possono esserci sacerdoti non preparati o senza una adeguata sensibilità culturale. Non si tratta di rifiuto ma di una difficoltà vera e la Pontificia Commissione sta pensando di organizzare una forma di aiuto ai seminari, alle diocesi e alle conferenze episcopali.
Si sta pensando anche di promuovere sussidi multimediali per la conoscenza e l’apprendimento della forma straordinaria con tutta la ricchezza teologica, spirituale, artistica legata all’antica liturgia da rivivere anche nella forma attuale ordinaria. Si tratta di coinvolgere gruppi di sacerdoti che già usano la forma straordinaria, i quali si offrono liberamente sia per celebrare che per illustrare e insegnare la celebrazione secondo il messale del 1962. Con questo clima di comunione il problema non esiste e spesso le controversie nascono da una certa non conoscenza. Alcuni chiedono permessi, come se si trattasse ancora di una concessione o di un caso eccezionale: il Papa è stato chiaro. La confusione è provocata da persone e giornali che hanno identificato la forma straordinaria con l’uso del latino, mentre il latino è previsto anche nel messale di Paolo VI. “Attraverso il motu proprio “Summorum Pontificum” – precisa il Presidente di Ecclesia Dei – il Papa offre a tutti i sacerdoti la possibilità di celebrare la messa anche nella forma tradizionale e ai fedeli di esercitare il diritto di avere questo rito quando ci sono le condizioni specificate nel motu proprio”.

I lefebvriani di fronte al motu proprio
I Lefbvriani fin dall’inizio hanno affermato che la forma antica non era mai stata proibita. E’ chiaro che non è mai stata abrogata, anche se prima del motu proprio non pochi l’hanno ritenuta proibita. Ora, invece, essa può essere offerta a tutti i fedeli che lo vogliono, a seconda delle possibilità. Ma è anche chiaro che se non c’è un sacerdote adeguatamente preparato, non la si può offrire, perché non si tratta solo della lingua latina, ma anche di conoscere l’uso antico come tale. Bisogna cogliere alcune differenze: il maggior spazio di silenzio per i fedeli che favorisce la contemplazione del mistero e la preghiera personale. Silenzio e contemplazione sono atteggiamenti necessari anche oggi, soprattutto quando si tratta del mistero di Dio.
Sono trascorsi otto mesi dalla promulgazione del documento e il Papa ha offerto alla Chiesa di oggi di rivivere una ricchezza che è spirituale, culturale, religiosa e cattolica cioè di continuità dinamica o Tradizione. Ci sono state – sempre il cardinale - lettere di consenso anche da prelati delle chiese ortodosse, da fedeli anglicani e protestanti. Ma soprattutto alcuni sacerdoti della Fraternità di San Pio X che, singolarmente, stanno cercando di regolarizzare la loro posizione. Alcuni di loro hanno già sottoscritto la formula di adesione. Il cardinale dice di essere informato che ci sono fedeli tradizionalisti, vicini alla Fraternità, che hanno cominciato a frequentare le messe nel rito antico offerte nelle chiese delle diocesi.
Occorre ricordare che la scomunica riguarda solo i quattro vescovi, perché ordinati senza il mandato del Papa e contro la sua volontà, mentre i sacerdoti sono solamente sospesi. La messa che celebrano è senza dubbio valida, ma non lecita e, quindi, la partecipazione non è consigliata, a meno che nella domenica non ci siano altre possibilità. “Vorrei in proposito – ha ribadito il Cardinale - ribadire l’importanza di una conoscenza chiara delle cose per poterle giudicare correttamente”.
Il cardinale di fronte all’obiezione che i lefebvriani non riconoscono il Concilio Vaticano II ha precisato: “Innanzitutto il problema di fronte al Concilio non è, a mio avviso, così grave come sembrerebbe. Infatti, i vescovi della Fraternità San Pio X, con a capo mons. Bernard Fellah, hanno riconosciuto espressamente il Vaticano II come Concilio Ecumenico e mons. Fellah lo ha ribadito in un incontro con Giovanni Paolo II, e più esplicitamente nell’udienza del 29 agosto 2005 con Benedetto XVI. Né si può dimenticare che mons. Marcel Lefebvre ha firmato tutti i documenti del Concilio. Penso che la loro critica al Concilio riguardi piuttosto la chiarezza di alcuni testi, in mancanza della quale si apre la strada a interpretazioni non concordi con la dottrina tradizionale. Le difficoltà più grandi sono di carattere interpretativo o hanno a che fare anche con alcuni gesti sul piano ecumenico, ma non con la dottrina del Vaticano II. Si tratta di discussioni teologiche, che possono aver luogo dentro la Chiesa, dove infatti esistono diverse discussioni interpretative dei testi conciliari, discussioni che potranno continuare anche con i gruppi che ritornano alla piena comunione”.
L’intervista termina affermando che “proprio nella liturgia si esprime tutto il senso della cattolicità ed essa è fonte di unità. Mi piace molto il novus ordo (di Paolo VI) che celebro quotidianamente. Non avevo più celebrato secondo il messale del 1962, dopo la riforma liturgica post – conciliare. Oggi nel riprendere alcune volte il rito straordinario, anch’io ho riscoperto la ricchezza dell’antica liturgia che il Papa vuol mantenere viva, conservando quella forma secolare della tradizione romana”. Penso che sia un esempio per tutti i sacerdoti.
Non dobbiamo mai dimenticare che il rimando supremo di riferimento nella liturgia come nella vita è sempre l’avvenimento dell’incontro sacramentale con la Persona di Gesù Cristo, crocifisso e risorto. E quindi anche nel rito liturgico il rivolgerci a Lui, verso il crocifisso, insieme ai fedeli per rendere attuale il suo sacrificio in modo incruento, come il Concilio di Trento ebbe a definire la Messa.
don Gino Oliosi

"Divinitas" recensisce "Ingresso alla Bellezza"


Remo Lavatori, su « Divinitas » n. 1, anno 2008, p. 119-20.
RECENSIONE SU « DIVINITAS ».(Con breve commento, in calce, dell'Autore.)
IL LIBRO RECENSITO:INGRESSO ALLA BELLEZZA. FONDAMENTI A UN’ESTETICA TRINITARIA.
Verona, Fede & Cultura, 2007, pp. 399, € 30,00

La lettura del libro non è di facile accesso, tuttavia è affascinante e coinvolgente; fa riflettere e apre orizzonti luminosi ed edificanti. Il discorso si svolge attorno ad una tesi di estremo valore metafisico, teologico e spirituale, quella di inserire la bellezza o il bello negli attributi trascendentali dell’essere uno, vero e buono.A tale scopo l’A. si pone sul fronte elevato di collegare la dimensione ontologica dell’ente creato con l’Essere sussistente di Dio, per scoprire una intima e suggestiva armonia, pur nella dovuta differenziazione tra l’ordina naturale e quello soprannaturale, tra ragione e fede, tra i dati filosofici e le verità rivelate. Infatti si pone a base di tutto il principio che la grazia non distrugge, ma perfeziona la natura, per mostrare che nell’Essere sussistente sussiste la stessa Trinità, in quanto l’intuizione tomista dell’essere assoluto e perfettissimo non si trova solo nella filosofia greca, ma trova la sua luce più radiosa nella rivelazione biblica dell’Esodo III,14, dove si pone in rilievo la caratteristica personale di Dio.La riflessione si protrae nei due nomi riservati al Figlio, Verbum e Imago, in modo da far vedere il rapporto che lega l’uno all’altro, come la forma all’essere.Da qui l’affermazione che l’immagine o forma o bellezza si trova costantemente accanto all’essere uno, vero e buono., così che si può dire che abbia la medesima estensione trascendentale: « È un fatto da riportare in primo piano, come abbiamo fatto noi, quelle particolarissime prerogative della seconda Persona divina: e di avere Essa non uno ma due sacri Nomi, e che uno è l’immagine dell’intelligibile (e viceversa l’altro è il verbo, o pensiero, o significato dell’immagine), sgombra il campo da ogni remora a riconoscere nel pulchrum un trascendentale » (LECTIO IV, p. 78).Le doti proprie del bello sono tre, secondo la descrizione di Tommaso d’Aquino: l’integrità o la perfezione, l’armonia o la proporzione, la chiarezza o lo splendore, che costituisce la « qualità precipua e intima dell’essere – prima di tutto – e poi di ogni ente, di grado in grado, fino ai minimi » (LECTIO IV, p. 83).Ne consegue la similitudine tra la bellezza e la verità, come si dimostra nella Lezione sesta, una lezione altamente speculativa e contemplativa, dove si mostra che la misurazione delle cose, impressa dal Verbo divino, è riconosciuta dall’uomo, quale « misura di tutte le cose », sebbene lui stesso, persona intelligente e amante, sia dipendente da Dio che lo ha creato e debba far ritornare l’universo intero al suo Creatore. Per cui « l’uomo, passaggio obbligato dell’universo a Dio, passa egli stesso attraverso se stesso a Dio e per la propria coscienza, e perché in tal modo passa in realtà attraverso il Modello del Figlio dell’Uomo crocifisso, il Cristo teandrico, riferimento solare a tutto il creato » (LECTIO VI, 104).Lo spirito si eleva verso il fine escatologico che dovrebbe essere sempre presente per cogliere tutta la realtà nel suo splendore. È vero che esistono cose deformi o non pienamente belle, perché soggiacciono al limite o alla mancanza di una bellezza totale, ma possiedono ugualmente un collegamento con la realtà che misura la loro pur ristretta verità e perciò la loro parziale bellezza.Un aspetto di rilievo è dato dalle Lezioni VIII-IX-X-XI, in cui l’A. commenta la proclamazione evangelica dei beati dal cuore mondo, perché vedranno Dio.La sua analisi si snoda in modo incalzante, incisivo e profondo, soffermandosi in particolare sul senso dei puri di cuore, del ragionamento o sillogismo, al fine di rilevare l’intreccio tra intelletto e volontà, così che uno non può stare senza l’altra in forza delle loro reciproca collaborazione.Viene chiaramente spiegato: « L’amore oblativo e offerente di sé è abito dispositivo a ogni intellezione, ma se non si conosce l’amore cui ogni pensiero è finalizzato, se non si conosce in cosa si specifica il fine cui indirizzare l’intenzione (tensione tra la causa efficiente posta nell’intelletto umano e l’ordinamento universale che gli sta sopra), come potrà la volontà indirizzarsi e far operare l’intelletto? » (LECTIO X, p. 175).Interessanti sono le considerazioni intorno all’amicizia, le quali toccano il valore ultimo, posto in Dio, per ogni autentica e armonica comunione tra amici, in modo che il proprio cuore, cioè il centro del proprio intelletto, sia sgombro e puro dagli affetti, e dalle passioni del proprio Io, persino con lo sgombro dell’amicizia stessa se è necessario (LECTIO X, pp. 178 segg.). A questo punto si raggiunge la massima elevazione nella luminosità totale e nella piena trasparenza della verità e dell’amore purissimi di Dio.Nei limiti ristretti di una recensione non è possibile raccogliere tutti gli elementi, gli spunti, le luci che promanano da questo libro. Si invita pertanto alla lettura, che certamente causerà belli, veri e buoni frutti di intellezione e di vita cristiana.
Renzo Lavatori
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UN BREVE COMMENTO DELL’AUTORE RECENSITO.
Nel numero di « Divinitas » in cui viene pubblicata la recensione qui sopra si trovano altre cinque recensioni di Lavatori. La cosa che si vorrebbe mettere in risalto qui è che nella recensione che segue quella a Ingresso alla bellezza il prof. Lavatori mostra di conoscere bene – tra le tante cose da ben conoscere – la verità per la quale si sa che ai Misteri sommi assolutamente non si può giungere se non per i dati offerti dalla Rivelazione. Così scrive infatti: « Si sa che il magistero della Chiesa, in particolare nel Concilio Vaticano I, ha sostenuto la differenza sostanziale tra l’ordine naturale e l’ordine soprannaturale, soprattutto in riferimento propriamente all’essenza intima di Dio nel mistero trinitario, che solo la rivelazione ha mostrato e che non può essere raggiunto dalla ragione (cf. anche le proposizioni rosminiane condannate nel Post Obitum) ».Con queste righe desidero mostrare la mia pubblica gratitudine dunque al prof. Lavatori, che mostra con le sue parole – pur pensate per un altro lavoro – di avallare implicitamente i lavori miei, che oltretutto lui conosce bene fin dall’inizio, giacché fu uno dei pochi a recensire – e favorevolmente – Il Mistero della Sinagoga bendata, lavori nei quali mi sono peritato in ogni modo e sempre di evidenziare questo pregio squisito della ss. Trinità, di essere appunto in primo luogo un Mistero, e, in secondo, di essere Mistero conoscibile in qualche misura attraverso la Rivelazione, due fatti questi che permisero ai Dottori della Chiesa di congetturare nei loro De Trinitate delle verosimili “forme” o conformazioni del costitutivo metafisico di Dio senza per questo passare in alcun modo per razionalisti e dunque in errore. La cosa mi tocca particolarmente, poiché è parso invece ad alcuni di dover intravedere nelle mie pagine varcata la soglia del rispetto del Mistero, laddove invece un teologo di fama come Lavatori, accreditato presso una delle più importanti Università Pontificie di Roma e nella redazione di una delle più prestigiose, sicure e apprezzate riviste cattoliche, avalla la metodologia seguita in ogni opera, e mai abbandonata o corretta, e anche l’apprezza nei suoi risvolti e nelle sue più spirituali e cristiane conseguenze.
E. M. R.