Ingresso alla Bellezza su Civiltà Cattolica

Enrico Maria Radaelli, Ingresso alla bellezza. Fondamenti a un’Estetica trinitaria, Verona, Fede & Cultura, 2007, 399, 25,00.

Recensione

su « Civiltà Cattolica »,

n. 3874, 16 febbraio 2008.

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L’A., nei «Prolegomena», dopo aver chiarito il fine spirituale di una filosofia dell’estetica inserita in una prospettiva trinitaria, pone i termini del problema inquadrandoli in una prospettiva tomista. Per lui c’è una domanda fondamentale per una filosofia dell’estetica: che relazione c’è tra linguaggio (pensiero, arte, poesia, retorica…) e realtà naturale?

Il discorso si snoda lungo 21 Lectiones, dai titoli in latino. Le prime quattro, anche se più tecniche, risultano basilari per il discorso successivo. Ogni lezione è concepita come finestra di ingresso alla bellezza, per soddisfare i possibili punti di partenza dei lettori. Nel complesso il testo offre due diversi approcci alla bellezza. Nella prima parte garantisce gli strumenti per la ragione soprannaturale, nella seconda quelli per la ragione naturale. Noi qui vogliamo esaminare la prima, vale a dire l’aspetto teologico.

La riflessione parte da un’affermazione giovanile del filosofo R. Amerio: «Il problema dell’uomo è il problema dell’adorazione, e tutto il resto è fatto per portarvi luce e sostanza» (p. 18). Anche se soltanto Dio può rendere a se stesso un culto adeguato, attraverso l’Incarnazione ogni uomo può misticamente rendere lo stesso culto, raggiungendo in tal modo il punto più alto della sua dignità. L’adorazione si concretizza in arte, templi, musiche, gesti ecc., che in qualche modo anticipano la perfezione escatologica dell’unità con il Dio personale trinitario, fonte originaria del pulchrum. La prospettiva estetica dell’A., allora, intende porre in evidenza due dati: da una parte l’origine non umana ma divina dell’aspetto che ha la sostanza delle cose, dall’altra che la sostanza delle cose può essere conosciuta soltanto grazie alla Rivelazione cristiana.

E così, adorazione, Rivelazione e Incarnazione si annunciano subito come basilari nell’analisi estetica dell’A. Ma non meno importante è il concetto di «immagine»: «Il concetto di immagine si pone […] a discrimine e passaggio tra due enti; infatti […] non vi sarebbero due enti se non vi fosse un’immagine, poiché essa richiede un’esemplare e una copia. Né poi […] vi sarebbe passaggio, perché, senza la somiglianza data dall’immagine […], non vi sarebbe quella relazione che accosta un termine a un altro» (p. 63).

In proposito, il pensiero va necessariamente alla verità metafisica basilare per san Tommaso d’Aquino: che il Figlio di Dio non ha solo un nome proprio, ma due. Infatti la seconda persona della Trinità è Verbum (Logos, Specchio) e Imago (Volto, Specchio). È qui il nucleo del libro: il legame tra Pensiero e Immagine, la biunivoca corrispondenza tra Verbum e Imago. L’A. chiarisce come il «Nome nascosto» del Figlio di Dio – Imago – sia decisivo, capace di spiegare in gran parte i processi conoscitivi, nonché la stretta relazione fra realtà e linguaggio, tra significato e significante.

La comprensione piena dei due Nomi propri della seconda Persona potrebbe condurre, secondo l’A., all’unificazione metafisica di tutta la realtà in un’unitaria teoria generale della realtà, secondo la quale «la creazione sta al pensiero umano sulla creazione […] in un rapporto di vera analogia con la sacra Relazione trinitaria presente tra il Padre e il Figlio, alla luce dei due suoi Nomi, Imago e Verbum» (p. 29). L’aspettativa dell’A. è troppo «presuntuosa»? Lasciamo il giudizio al lettore invitandolo, però, prima a leggere il testo nella sua interezza.

Il libro, scritto con grande attenzione al linguaggio, che a volte risulta un po’ aulico, non è facile ma risulta stimolante. Inoltre, anche se potrebbe apparire alquanto inattuale, si inserisce nel dibattito estetico di oggi, proponendosi come contributo alla riflessione e alla discussione. Ma ci sono potenziali risvolti anche al di fuori del ristretto ambito estetico. A fine lettura, ad esempio, ragione e conoscenza sembrano uscire rafforzate nella dura lotta che relativismo e scetticismo oggi stanno conducendo nei loro confronti. La lettura, inoltre, sembra favorire una maggiore capacità di riconoscere lo spirituale che si cela nel materiale. Per orientarsi tra gli argomenti risulta valido l’indice dei nomi, delle persone e dei luoghi.

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G. Esposito

Fede & Cultura su Tele Pace

Su Telepace è stato presentato il nostro volume "Alla Scuola di Benedetto XVI". L'Autore, che ha avuto riconoscimenti da parte del Card. Bertone, dal Card. Nicora, e dal Papa Benedetto XVI, che ha mandato, attraverso il suo Segretario particolare, una lettera di encomio e una copia del suo libro "Gesù di Nazaret" con firma chirografa, come dono all'Autore don Gino Oliosi. Grati per queste grazie desideriamo mettere a disposizione dei nostri lettori l'intervista fatta a don Gino che preannuncia la preparazione del prossimo volume dedicato al Magistero di Papa Benedetto XVI.

Tutti a vedere il "sacro teatro dei cieli". Un teologo fa da guida

Il teologo è Enrico Maria Radaelli. Il suo ultimo libro dal titolo "Ingresso alla bellezza" è la prova che una grande teologia cattolica continua a essere viva, negli anni di Joseph Ratzinger teologo e papa
di Sandro Magister
Roma, 15 febbraio 2008 – A predicare in curia gli esercizi spirituali di Quaresima, Benedetto XVI ha chiamato quest'anno il biblista Albert Vanhoye, da lui definito "grande esegeta" e fatto cardinale. Lo scorso anno aveva chiamato a predicare gli esercizi il cardinale Giacomo Biffi, altro teologo da lui grandemente stimato. Uno dei più importanti libri di teologia degli ultimi anni, pubblicato di recente in più lingue, è quello di Leo Scheffczyk, "Il mondo della fede cattolica. Verità e forma". Anche Scheffczyk, scomparso nel 2005, fu fatto cardinale. Il libro è introdotto da un'intervista a Benedetto XVI. Sono i segni che una grande teologia cattolica continua a essere viva, negli anni di Joseph Ratzinger teologo e papa. È una teologia tanto profonda e solida quanto poco rumorosa. Il rumore circonda opere più eccitanti ma confuse, come il libro di Vito Mancuso "L'anima e il suo destino", di cui ha dato conto www.chiesa una settimana fa. Al riparo da simili rumori ma con grande lungimiranza, ad esempio, in Italia l'editrice Jaca Book sta pubblicando gli imponenti "opera omnia" del più insigne studioso al mondo di teologia medievale, Inos Biffi, professore emerito alle facoltà teologiche di Milano e di Lugano. Nessuna parentela tra lui e l'omonimo cardinale, che lo ha amico e lo ritiene senza ombra di dubbio il più grande teologo italiano vivente. Editorialmente, Inos Biffi è in buona e sceltissima compagnia. Prima di lui la Jaca Book ha pubblicato le opere complete di due altri giganti della teologia cattolica del XX secolo: Henri De Lubac e Hans Urs von Balthasar. Un'altra editrice, Città Nuova, ha in corso la pubblicazione degli "opera omnia" di un terzo grande teologo della seconda metà del Novecento, Bernard J. F. Lonergan. Ma c'è di più. La teologia cattolica sta segnando al suo attivo anche nuovi autori e nuovi libri di prima grandezza. È il caso di Enrico Maria Radaelli, col saggio "Ingresso alla bellezza".
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La tesi portante di "Ingresso alla bellezza" è che il Figlio di Dio non ha solo un "nome" ma due, inscindibilmente connessi. È "Logos" ma anche "Imago". È verbo ma anche immagine, volto, specchio del divino pensiero. È verità ma anche bellezza del vero. "Ingresso alla bellezza" è dunque una via maestra per entrare nel mistero del Dio trinitario e incarnato. La bellezza è l'apparire dell'invisibile verità. E, viceversa, l'indicibile dei divini misteri si manifesta negli splendori della liturgia, dell’arte, della musica, della poesia. Sulla copertina del libro c'è un un dipinto di Lorenzo Lotto con un giovane Apollo dormiente ai confini dell'arcano, con le Muse che mimano le sublimi realtà. L'illustrazione in alto a questa pagina è invece di un pittore del Seicento, Giovanni Battista Gaulli detto il Baciccia. È un particolare degli affreschi della cupola e della volta della chiesa di Roma dedicata al Santissimo Nome di Gesù, ossia, teologicamente, proprio al duplice nome di "Logos" e "Imago". Dalla visione di questo "sacro teatro dei cieli" prende il via un articolo dell'autore di "Ingresso alla bellezza", Enrico Maria Radaelli, pubblicato su "L'Osservatore Romano" del 4-5 febbraio 2008. L'articolo è riprodotto integralmente più sotto e sintetizza con molta efficacia lo spirito e i contenuti del libro. Il quale spazia dalla teologia propriamente detta alla filosofia, dalla Sacra Scrittura alla liturgia, dalla storia alla linguistica, dall'arte alla musica. Memorabili, ad esempio, le pagine sul pittore Michelangelo da Caravaggio e sul musicista Claudio Monteverdi. Radaelli non è un teologo d'accademia né ha ricevuto gli ordini sacri. Non appartiene all'organico delle università pontificie. È però discepolo di uno dei più acuti intelletti cattolici del Novecento, anche lui semplice laico senza cattedre, lo svizzero Romano Amerio. L'uno e l'altro hanno rivolto e rivolgono critiche severe alle derive secolarizzanti della Chiesa nell'ultimo secolo, alle confusioni nel campo dell'ecumenismo e del rapporto tra le religioni, alle "devastazioni" in campo liturgico. Sempre però in obbedienza al magistero gerarchico e a quella Grande Tradizione senza il cui respiro – insegna Benedetto XVI – non c'è teologia cattolica degna di questo nome. Quanto alla prossimità tra l'insegnamento di Joseph Ratzinger e le tesi di "Ingresso alla bellezza", è rivelatore quanto ha detto il papa pochi giorni fa, nell'incontro del 7 febbraio col clero di Roma. Rispondendo alla domanda di un prete che è anche pittore, Benedetto XVI ha detto: "L'Antico Testamento vietava ogni immagine e doveva vietarlo in un mondo pieno di divinità. Esso viveva nel grande vuoto che era anche rappresentato dall'interno del tempio, dove, in contrasto con altri templi, non c'era nessuna immagine, ma solo il trono vuoto della Parola, la presenza misteriosa del Dio invisibile, non circoscritto da nostre immagini. "Ma poi questo Dio misterioso [si fa carne in Gesù,] appare con un volto, con un corpo, con una storia umana che, nello stesso tempo, è una storia divina. Una storia che continua nella storia dei santi, dei martiri, dei santi della carità e della parola, che sono sempre esplicazione, continuazione nel Corpo di Cristo di questa sua vita divina e umana, e ci dà le immagini fondamentali nelle quali – al di là di quelle superficiali che nascondono la realtà – possiamo aprire lo sguardo verso la Verità stessa. In questo senso mi sembra eccessivo il periodo iconoclastico del dopo Concilio [Vaticano II], che aveva tuttavia un suo senso, perchè era forse necessario liberarsi da una superficialità delle troppe immagini. "Adesso torniamo alla conoscenza del Dio che si è fatto uomo. Come ci dice la lettera agli Efesini, Lui è la vera immagine. E in questa vera immagine vediamo – oltre le apparenze che nascondono la verità – la Verità stessa: 'Chi vede me vede il Padre'. In questo senso possiamo ritrovare un'arte cristiana e anche ritrovare le essenziali e grandi rappresentazioni del mistero di Dio nella tradizione iconografica della Chiesa. E così potremo riscoprire l'immagine vera, [...] la presenza di Dio nella carne".

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