Karl Rahner su Vitae fratrum

Review: "Karl Rahner. Il Concilio tradito"

Come ho anticipato, propongo qui una recensione di una monografia che affronta temi al centro del dibattito teologico odierno e che ci permette di vedere nella pratica la funzione che Tommaso attribuisce allo studio: l'essere cioè un antidoto agli errori in materia di fede (cfr. Summa Theol. IIa-IIae, qu. 188, art. 5).
Il libro “Karl Rahner. Il concilio tradito” di padre Giovanni Cavalcoli (Fede e Cultura, Verona, 2009) si propone di sviluppare una critica puntuale e serrata del pensiero del teologo tedesco.
Iniziata la lettura di questo libro, mi è nata la curiosità di verificare se non fosse possibile dare del teologo gesuita una lettura che sfuggisse alle critiche che padre Cavalcoli gli muove. Ho letto perciò il Corso fondamentale sulla fede dello stesso Rahner, vera summa del suo pensiero, per farmi un giudizio autonomo. L’impressione che ne ho ricavato tuttavia è che la ricostruzione fornita dal padre Cavalcoli sia corretta e fedele ai testi del gesuita tedesco. E le critiche che sono mosse al pensiero di Rahner, così ricostruito, sono indubbiamente ben argomentate, come cercherò di mostrare in questa recensione.
Ma chi era Karl Rahner? E che cosa ha detto? E soprattutto: che senso ha per noi parlare di questo autore?
Devo ammettere che le mie conoscenze riguardo a questo autore non sono ancora molto ampie. Qualche mese fa, trovandomi in Germania, incominciai Geist in Welt e mi parve, dallo stile un po' fumoso, ma a suo modo affascinante, di aprire un libro di Heidegger.
L’incipit del saggio è assai coinvolgente: l’uomo è colui che si pone domande, fino al punto da essere quasi definito dal suo dal suo stesso interrogarsi. In questo non si può che dare ragione a Rahner. L'uomo è effettivamente aperto all'Assoluto e si pone sempre quelle domande che Leopardi ha messo in bocca al suo pastore errante dell'Asia:
"e quando miro in cielo arder le stelle;
dico fra me pensando:
a che tante facelle?
che fa l'aria infinita, e quel profondo
infinito seren? che vuol dir questa
solitudine immensa? ed io che sono?"
Proprio in quanto uomini siamo naturalmente portati a porci queste domande. Tommaso parlava di "desiderium naturale videndi Deum" (concetto tuttavia spesso frainteso e su cui torneremo).
A differenza però del grande Recanatese e dell'Aquinate, Karl Rahner si dilunga su questo concetto, giocherellando lezioso sul termine “Fragende” con cui ha definito l'uomo. Il libro vorrebbe essere un ripensamento della gnoseologia tomista, che è riletta in chiave immanentista, come mostrò con dovizia di dettagli un bel libro di p. Cornelio Fabro, che oggi è purtroppo assai difficile da trovare. Nonostante Rahner si riprometta di interpretare un brano della Summa Theologiae, i veri riferimenti della sua riflessione sono Kant e soprattutto Heidegger. Sebbene non siano mai nominati, chi non è proprio digiuno di filosofia riconosce facilmente i punti di riferimento del gesuita. Il che non sarebbe in sé un male - è giusto e doveroso confrontarsi col pensiero moderno e contemporaneo. Se non fosse che il quadro che ne emerge è l'attribuzione a Tommaso di una epistemologia immanentista. Il che è inverosimile dal punto di vista storiografico. E assai pericoloso se su queste basi fragili ed erronee si vuole fondare una teologia.
Dopo poche pagine, annoiato e forse scoraggiato dal tedesco, richiusi il libro.

Qualche mese dopo leggo una recensione del libro di padre Cavalcoli su Rahner. Lo compro e inizio a leggerlo. Cavalcoli da un lato riconosce a Rahner profondità di pensiero e originalità speculativa, ma dall’altro accusa la sua teologia di essere uno dei responsabili di quella ermeneutica che vede il Concilio Vaticano II come rottura rispetto alla tradizione della Chiesa. Questa interpretazione, come è noto, è stata respinta da Benedetto XVI, che non si stanca di sottolineare come l'insegnamento del magistero della Chiesa non si contraddice e non ci possono essere "rotture" all'interno della Chiesa, né in senso sincronico, né in senso diacronico. Già in Rapporto sulla fede, l'allora cardinale Ratzinger deprecava la consuetudine invalsa di contrapporre una presunta chiesa preconciliare ad una altrettanto presunta chiesa postconciliare. Come recitiamo nel Credo, la Chiesa è una.
Se l'analisi di padre Cavalcoli è corretta, il pensiero di Rahner costituisce effettivamente una sfida per la coscienza del cristiano ed è per questa ragione che merita di essere discusso.
Ma credo ci sia anche un altro motivo. Papa Benedetto ha sottolineato in più occasioni che il pericolo per la fede è costituito oggi da quella forma di pensiero che si è soliti etichettare "relativismo".
Nel mio piccolo avevo cercato di analizzare questo fenomeno filosofico, che sta divenendo assai popolare nei dipartimenti di filosofia di mezzo mondo, e l'avevo fatto qui e qui.
Ora, padre Cavalcoli sostiene nel proprio libro che il pensiero di Rahner effettivamente giustifica sul piano teologico una posizione relativista, dinanzi alla quale il dogma cristiano è abbandonato alle ubbie (categoriali) dei credenti e al divenire storico.
Proprio per questo è di stringente attualità l'analisi del pensiero di Rahner e senza dubbio il contributo di padre Cavalcoli si inserisce in una serie di valutazioni di estremo interesse (si pensi soltanto ai nomi di von Balthasar e di Ratzinger, che a lungo si confrontarono con la teologia rahneriana).
La ragione per cui Karl Rahner. Il Concilio tradito si fa maggiormente apprezzare è data a mio avviso dal carattere sistematico e unitario con il quale il pensiero del teologo tedesco è ricostruito e valutato.
E' nel primo capitolo, dedicato alla gnoseologia rahneriana, che padre Cavalcoli getta da un lato le basi della ricostruzione della teologia di Rahner e dall'altro espone il fondamento della critica che rivolgerà a questo pensiero.
In questo modo di procedere l'autore è senza dubbio sulla stessa linea d'onda del teologo gesuita, che nel suo Grundkurs des Glaubens espone in primo luogo quella distinzione tra momento tematico o categoriale e momento atematico o trascendentale che è la cifra della sua gnoseologia. In effetti l'intera teologia rahneriana dipende dalla accettazione di questo assunto filosofico-gnoseologico, che le consente senza dubbio di presentarsi come un edificio solido e compatto.
Per Rahner esiste un momento categoriale e consapevole del conoscere: è su questo fronte che si collocano le definizioni dogmatiche che la Chiesa propone. Questo momento è mutevole e dice solo imperfettamente l'altro momento del conoscere, che però non è mai afferrato concettualmente, ma sempre postulato, come mit-wissen in ogni atto di conoscenza e nell'affermazione del soggetto che si autodetermina in ragione della propria libertà. Con termine proprio questo mit-wissen è chiamato da Rahner Vorgriff. La vera autotrascendenza dell'uomo quale apertura all'autocomunicazione del divino appartiene a questo momento atematico, che, come osserva Cavalcoli, si avvicina molto all'Io penso kantiano, come funzione trascendentale che deve poter accompagnare ogni rappresentazione.
Mai consapevole, l'esistenziale atematico è solo asintoticamente avvicinato mediante l'esperienza mistica.
Ma come mostra efficacemente padre Cavalcoli, in questo modo sono consegnate al divenire storico le formule dogmatiche, che non sono mai vere, perché mai dicono completamente quell'esistenziale trascendentale, che è per definizione indicibile; se però le formule dogmatiche possono essere negate, ne segue che il dogma è storicizzato. In poche parole abbiamo spalancato la porta a quella concezione relativistica della fede (categoriale): prezzo che Rahner si sente di poter pagare, pur di affermare la propria mistica dell'inconoscibile dimensione della grazia - ovvero, come spiega nei primi paragrafi del Grundkurs des Glaubens, la mistica dell'esistenziale trascendentale, identificato con quella "grazia che è sempre presente" all'uomo, quale effetto della autocomunicazione divina, che è sempre in atto. La presenza della grazia non è tolta, a livello trascendentale, dal peccato, che fà sì che la grazia sia presente, ma nel modo del rifiuto. In altre parole il peccato è il non essere consapevoli (categorialmente) del dono che a livello dell'esistenziale trascendentale è sempre offerto alla libertà del soggetto dall'atto mediante il quale Dio sempre si autocomunica. L'inferno in quest'ottica rimane una possibilità astratta, ma di fatto non si dà, perché non si danno uomini che non siano atematicamente in grazia - stante che l'essere in grazia è implicato dall'essenza stessa dell'uomo che è posta essere il suo autotrascendersi. Da qui l'assunto rahneriano per cui filosofia e teologia tendono ad identificarsi ed entrambe si risolvono in antropologia. Ma in quest'ottica l'evento di Cristo viene semplicemente ad essere l'accadere dell'idea di Salvatore Assoluto che a livello atematico-trascentale è posta come necessaria.

Quale valutazione dare di questa teologia, che tanto favore ha incontrato e continua ad incontrare?
Indubbiamente è molto bella la sintesi che il teologo gesuita ha fatto di pensiero moderno e della rivelazione cristiana, che è stata dettata da una autentica passione pastorale, come mi pare di poter affermare.
Ma che rimane dell'avvenimento del Verbo fatto carne? Cristo non finisce forse per divenire postulato dall'esistenziale trascendentale?
Credo perciò che il motivo per cui maggiormente il libro di padre Cavalcoli si fa apprezzare sia nell'invito a riscoprire la gratuità dell'amore con cui Dio ha scelto di incarnarsi; di soffrire per riparare al nostro peccato; di riconciliare noi peccatori con Lui.
E tutto questo nessuna antropologia, sia pure trascendentale, sarà mai in grado di dedurre a priori.
Credo che questo sia l'elogio più bello che si possa fare di un libro che contiene riflessioni impegnative e profonde: farci riscoprire l'amore gratuito che Dio ha per noi.

Se proprio si deve fare una osservazione all'opera di padre Cavalcoli, bisogna rilevare che il libro non è esente da alcune fastidiose sviste tipografiche. L'auspicio è che una prossima riedizione, che speriamo non si farà attendere e che auguriamo di cuore all'autore, possa ovviare a questo inconveniente.

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