Opportunismo pragmatico o relativismo caotico?
Alla vigilia delle elezioni politiche, il Centro Culturale Lepanto presenta un breve esame critico dei testi programmatici del PD di Veltroni, allo scopo di mettere in guardia l’opinione pubblica dalla loro ideologia relativistica e dalla loro strategia ingannevole che tenta di nascondere il fallimento della sinistra. Se il PD ingloba candidature incompatibili e propaganda valori contraddittori, lo fa non tanto per ottenere successo tentando di accontentare tutti, quanto per realizzare una rivoluzione culturale e politica che diffonde incertezza e insicurezza, suscita conflitti e instabilità, conduce alla persecuzione dei dissidenti, alla guerra civile e, in ultima analisi, al caos.
1. Una campagna deideologizzata
La campagna elettorale in corso tenta di coinvolgere quei numerosi italiani che negli ultimi anni si sono astenuti, e punta a convincere quel terzo dei potenziali votanti che non ha ancora fatto la propria scelta. Orbene, una recente indagine del Censis ha accertato che l’elettorato vota ancora basandosi sui propri princìpi (50%) e considerando molto più i programmi dei partiti (23%) che la loro immagine o i loro capi (cfr. Corriere della Sera, 20-3-2008). Eppure la campagna elettorale cerca di evitare i temi ideologici, limitandosi a parlare di economia e a fare polemiche di basso profilo. Ciò rischia di allontanare i cittadini dalle urne, in quanto favorisce l’impressione che i partiti e i loro programmi si differenzino solo per motivi accidentali, tanto più che nessuno di loro riflette pienamente e credibilmente la concezione cristiana della società.
Ora, questa esclusione dei temi ideologici è comprensibile ed anzi utile per lo schieramento di centrosinistra. Esso infatti manca di coesione ideologica e può vincere solo evitando contrapposizioni ideali; come ha ammesso Ermete Realacci, responsabile della comunicazione del PD, «abbassando il tono della conflittualità, noi abbassiamo le difese immunitarie di quella parte di elettori che, nelle ultime tornate, hanno votato centrodestra, perché sono state (…) catturate dalle campagne anticomuniste del Cavaliere» (Il Giornale, 18-2-2008).
Ma l’esclusione dei temi ideologici è incomprensibile ed anzi pericolosa per lo schieramento di centrodestra. Esso difatti ha una certa omogeneità ideologica e può vincere soprattutto se si fa portavoce e difensore dell’identità culturale e morale dell’Italia cristiana contro il progetto relativista e “multiculturalista” della Sinistra. Evitando la battaglia ideologica, invece, il centrodestra rischia di fare la fine del Partito Popolare Spagnolo, che è stato sconfitto alle elezioni appunto perché non ha saputo opporre valide scelte valoriali a quelle fatte dal PSE di Zapatero.
Inoltre, i temi ideologici non sono solo vincenti ma anche e soprattutto ineludibili e prioritari, poiché stanno alla radice dell’attuale crisi politica e sociale. Fra tutti costoro, il primo è la “questione antropologica”, a suo tempo sollevata dal card. Camillo Ruini: ossia la concezione dell’uomo – implicita nei programmi partitici e soprattutto nelle azioni governative – che condiziona le scelte politiche riguardanti la famiglia, la vita, la scuola e la giustizia, prima ancora che l’economia e la sicurezza. Questa concezione dell’uomo costituisce pertanto il principale criterio con cui gl’Italiani debbono valutare le fazioni in campo per ben scegliere, un criterio che vale anche per i cattolici: «Non è l’identità confessionale che deve rilevare politicamente per l’elettore, ma l’antropologia di riferimento dei candidati e dei partiti», ha ammonito Francesco D’Agostino, presidente dei Giuristi Cattolici Italiani (cfr. Avvenire, 24-2-2008).
2. Una separazione consensuale, tattica e provvisoria
Fra le fazioni oggi in gara, il Partito Democratico (PD) di Walter Veltroni è quello che, pur avendo un’antica e precisa radice ideologica, mette la maggior cura nel nasconderla sotto un’apparenza di novità, “buonismo” e pluralismo. Come inno del proprio partito, Veltroni ha scelto una canzone di Jovanotti che s’intitola allusivamente Mi fido di te. Ma già se consideriamo il testo demenziale della canzone, ci vengono dubbi sull’affidabilità del candidato-premier; se poi esaminiamo il suo partito, arriviamo alla conclusione che dobbiamo diffidarne completamente.
La novità del PD consisterebbe nel fatto di proporre una politica “moderata” e “riformista”, per realizzare la quale sarebbe nato separandosi dall’ala estrema dell’Unione, ala oggi rappresentata dalla Sinistra Arcobaleno. In realtà, questa manovra non ha fatto altro che risuscitare il vecchio centrosinistra, ossia quello schieramento partitico che ci ha governato per quasi 40 anni, favorendo proprio quella gravissima crisi politica, sociale, culturale e spirituale dalla quale dobbiamo risollevarci.
La nascita del PD è inoltre una operazione già vista, analoga a quella che fecero prima i socialisti e poi i comunisti negli anni Sessanta e Settanta. Allora essi si separarono consensualmente dalla loro ala estremistica, allo scopo di accreditarsi come fazione “moderata”, tranquillizzare i benpensanti e ottenere così voti e appoggi sufficienti per conquistare il potere ufficiale; ma, una volta ottenuto questo risultato, sia i socialisti che i comunisti recuperarono la loro ala estrema, per governare insieme ad essa realizzando un programma massimalista, come ha tentato di fare recentemente l’Unione con i due Governi Prodi.
Possiamo quindi ritenere che anche l’attuale separazione tra PD e Sinistra Arcobaleno sia solo una manovra tattica fatta consensualmente per uno scopo preciso: fare oggi un passo indietro per farne domani due in avanti. Preoccupato di far dimenticare l’estremismo e i fallimenti dei Governi Prodi, ma anche di sedurre quei benpensanti non più ingannati dal vecchio “centrismo”, oggi il PD ha preferito presentarsi agli elettori senza la compromettente alleanza con l’estrema sinistra, sperando di vincere ugualmente le elezioni grazie alla divisione del centrodestra, o perlomeno sperando di ottenere dai “moderati” quel vasto consenso che gli permetta una successiva rivincita. Ma domani, non appena la vigilanza della opinione pubblica si sarà attenuata, il PD cercherà di ricuperare la Sinistra Arcobaleno per tornare a perseguire insieme la vecchia politica massimalistica.
Queta nostra analisi viene confermata da fatti significativi. Basi sindacali ed élite barricadiere di matrice comunista non solo non contestano ma anzi appoggiano la svolta “moderata” del PD, anche candidandovi loro esponenti; è questo il caso della CGIL e dei “girotondini”, e forse anche degli anarchici dei Centri Sociali Autogestiti, se non altro per riconoscenza della protezione a lungo ricevuta da Veltroni. Inoltre, nelle elezioni amministrative il PD ha prudentemente mantenuto l’alleanza elettorale con l’estrema sinistra, allo scopo di battere il centrodestra e conservare a livello locale quel potere che potrebbe perdere a livello nazionale. Come si vede, si tratta di rischi calcolati funzionali a salvare il salvabile e a preparare una futura rivincita.
3. Passate colpe del PD
Per prevedere cosa farebbe il PD se andasse al Governo, basta rievocare quello che esso stesso, o le sue componenti che l’hanno generato (DS e Margherita), hanno già fatto o tentato di fare nel periodo in cui hanno costituito l’elemento fondamentale dei passati Governi Prodi. Per limitarci all’ultimo, ricordiamo ad esempio alcuni fatti significativi:
Il 30 maggio 2006, con la determinante approvazione del PD, il Governo ha permesso la sperimentazione embrionale, facendo fallire la relativa moratoria sancita dall’Unione Europea.
Il 27 giugno 2006, parlamentari e capigruppo del PD – tra i quali Ignazio Marino e Anna Finocchiaro – hanno presentato un progetto di legge per il “testamento biologico”, allo scopo di aprire la strada alla legalizzazione dell’eutanasia.
Il 13 novembre 2006, il ministro della Salute Livia Turco (PD) ha emanato un decreto che eleva da 500 a 1000 mlg il quantitativo massimo di cannabis che può essere detenuto per “uso personale”, allo scopo di aprire la strada alla completa liberalizzazione del consumo di droghe.
Il 25 gennaio 2007, ministri e parlamentari del PD, fra i quali Giuliano Amato, hanno tentato di varare un disegno di legge governativo che, inasprendo la già liberticida “legge Mancino”, condanna come reato penale ogni forma di “discriminazione” verso qualsiasi “tendenza sessuale”.
L’8 febbraio 2007, i ministri Rosy Bindi e Barbara Pollastrini (entrambi del PD) hanno tentato di legalizzare le convivenze (anche omosessuali) parificandole al matrimonio; questo disegno di legge, chiamato Di.Co, è stato poi rinnovata il 12 luglio 2007 col nome di Cus.
A partire dal luglio 2007, il ministro Turco ha fatto vari tentativi di peggiorare la già criticabile legge n. 40 sulla fecondazione artificiale, mediante il varo di linee-guida che la liberalizzassero ulteriormente.
Nell’autunno 2007, il PD ha tentato di varare un progetto di legge che, con la scusa di prevenire la violenza sessuale, punisce anche la “omofobia”, ossia in realtà ogni forma di critica o difesa dalla propaganda e dalla pratica dell’omosessualismo militante.
Nel dicembre 2007, il ministro dei Beni Culturali Francesco Rutelli (PD) ha tentato di abolire quel poco di censura preventiva rimasta su film, telefilm e videogiochi, sostituendola con un’ “autoregolamentazione” affidata agli stessi produttori.
Tra la fine del 2007 e l’inizio del 2008, il ministro Turco ha diffuso sul video e per le strade un messaggio governativo che, col pretesto di prevenire le malattie sessuali, esorta i ragazzi a usare i contraccettivi; ha poi tentato d’imporre a Consultori, Pronto Soccorso e Guardie Mediche di fornire a basso costo la contraccezione d’emergenza (abortiva).
Il 15 febbraio 2008, il ministro Turco ha tentato di varare un decreto che limita l’obiezione di coscienza del personale medico e farmacistico, allo scopo di assicurare il pieno accesso a quel “servizio sociale” che è l’aborto in modo da garantire “il supremo valore della libertà delle donne”.
Il 13 marzo 2008, il ministro Bindi ha rivoluzionato l’Osservatorio Governativo sulla Famiglia, affidandolo a esperti – come il giurista Balduzzi e i politici Vendola e Cofferati – che ne garantiscano l’orientamento in senso progressista e permissivo.
A tutto questo possiamo aggiungere che, nelle Regioni governate dal PD – ovviamente assieme all’estrema sinistra – si sono moltiplicate iniziative che contraddicono i valori cristiani e penalizzano le fondamentali istituzioni civili, come la famiglia e la proprietà; lo dimostrano i casi di Piemonte, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Lazio, Campania e Sardegna.
4. Un partito onnivoro e un minestrone indigesto
In questo contesto, è importante esaminare il PD nei suoi aspetti ideologicamente più qualificanti, espressi nel Programma di Governo (PG, varato il 25-2-2008) e soprattutto nel Manifesto dei Valori (MV, varato il 16-2-2008); entrambi questi documenti vanno presi sul serio, se non altro perché uno dei loro autori (Morando) ha dichiarato che «stavolta siamo stati liberi di scrivere quello che vogliamo fare» (L’Unità, 20-2-2008).
Già il modo artificioso in cui è stato elaborato il programma veltroniano rivela un modo settario d’intendere la politica. Se il metodo naturale imporrebbe di forgiare il programma sulla base delle idee, nel PD invece il “chi siamo” viene esplicitamente determinato dal “cosa vogliamo” (MV, § 7): ossia l’identità ideologica viene manipolata dalle esigenze pratiche, che impongono di ottenere il consenso necessario per conquistare il potere e con questo attuare una prassi rivoluzionaria. Anche qui non c’è nulla di nuovo, perché il PD si dimostra erede degli antichi circoli giacobini, nei quali l’unità partitica veniva determinata dalle esigenze pratiche sorte dalla discussione.
Anche per questo, il PD si definisce come «un partito aperto, (…) un laboratorio d’idee e di progetti» composto da «diverse storie politiche, culturali ed umane che (…) diventano fattore di arricchimento e di fecondazione reciproca» (MV, § 2) e permettono di costruire «una convivenza unitaria e plurale» (MV, § 7). Sia nei candidati proposti che nei temi propagandati, Veltroni ha messo assieme gl’ingredienti più incompatibili confezionando una sorta di melting pot, un minestrone confuso e indigesto. Il PD ha candidato assieme CGIL e Federmeccanica, radicali e “teodem”, abortisti e antiabortisti, ecologisti e antiecologisti, militaristi e pacifisti, “giustizialisti” e garantisti, tutori dell’ordine e fomentatori della “disobbedienza civile”. Nel PD sono confluite idee e istanze provenienti da liberalismo e socialismo, individualismo e collettivismo, centralismo e localismo, legalismo e ribellismo, “giustizialismo” e garantismo. Pretendendo di accogliere ideologie di opposta tendenza allo scopo di contemperarle, il PD rischia di unire i difetti di entrambe e di bilanciare un eccesso con quello opposto, diventando così, in campo politico-sociale, quello che la setta modernista fu in campo religioso: ossia «la cloaca di tutte le eresie», secondo la caustica definizione di Papa san Pio X.
Ieri la vecchia politica democristiana si basava sul metodo della “mediazione”, consistente nel favorire il compromesso tra idee e istanze estreme e tentando una “politica del centro” che isolasse gli “opposti estremismi”; com’è noto, questa politica ha progressivamente mercanteggiato e svenduto valori, conquiste e istituzioni cristiane, favorendo la secolarizzazione della società e pertanto la sua crisi.
Oggi invece la nuova politica veltroniana si basa sul metodo della “inclusione”, cercando d’inglobare diverse, divergenti e inconciliabili tendenze della società. Veltroni crede che, facendo emergere le contraddizioni sociali e politiche, fomentando lo «scontro duro» (MV, § 4 e) tra le forze conservatrici e quelli progressiste, favorendo il conflitto tra le opposte identità, istanze e tendenze (culturali, religiose e perfino sessuali), si potrà uscire dall’attuale situazione di stasi conservatrice, realizzando quel “salto di qualità” e quella “sorpresa della Storia” sognati dal marxismo: ossia la nuova società ugualitaria, senza discriminazioni né disuguaglianze. Come gli antichi alchimisti sostenevano che ordo ab chaos, (“l’ordine scaturirà dal caos”), così il moderno alchimista Veltroni tenta di suscitare una rivoluzione libertaria che getti la società nel caos, nella speranza di farne magicamente scaturire il “nuovo ordine mondiale”, realizzando il passaggio dalla “modernità” alla “postmodernità”. Del resto, solo così potrebbe realizzarsi quel sovvertimento della società, della cultura e dello stile di vita tradizionale, quella dissoluzione culturale, spirituale e tendenziale, che permetta al comunismo di compiere la propria missione consistente nell’ «uccidere il cristianesimo», come auspicava un secolo fa Antonio Gramsci (cfr. Audacia e fede, su Avanti!, 22-5-1916).
Ovviamente questo metodo “inclusivo” ha anche un aspetto tipicamente pragmatico che applica la prudenza della vecchia strategia leninista. Per nascondere il fallimento del socialcomunismo e per aggirare gli ostacoli che impediscono la marcia rivoluzionaria verso la “democrazia compiuta”, l’ideologia e il programma del centrosinistra vengono allargati fin quasi al punto d’inglobare quelli del fronte opposto. Non dimentichiamo che Lenin ammoniva il Partito Comunista russo ad esser pronto a scatenare la rivoluzione, ma anche, nel caso questa fallisse, a mettersi alla guida della “controrivoluzione” per imbrigliarla e neutralizzarla. Da buon allievo ed erede del leninista Berlinguer, Veltroni oggi tenta una strategia analoga: per nascondere il fallimento della sinistra e superare l’attuale stallo, il PD deve portare avanti le istanze progressiste, ma anche imbrigliare e neutralizzare quella sana reazione in difesa della Religione, della famiglia, della vita, della proprietà e della sicurezza, che va sempre più chiaramente emergendo dalla società civile e manifestandosi nell’opinione pubblica.
5. Un “pluralismo” relativistico
Tuttavia, la strategia veltroniana è finalizzata a realizzare un progetto ideologico adombrato in modo confuso e ingannevole dai citati documenti programmatici del PD. Essi partono dal constatare che l’attuale processo di globalizzazione sta trasformando il mondo in «una trama complessa di relazioni in continua evoluzione» (MV, § 7) che realizza «l’interdipendenza tra nazioni, popoli e culture» (MV, § 2). Bisogna pertanto favorire l’avvento di una «democrazia planetaria», una «società aperta e inclusiva» che realizzerà il pieno “pluralismo” e nella quale «nessuno venga escluso», come ammonisce il noto slogan veltroniano.
Di conseguenza il PD s’incarica di abolire ogni assolutismo ed esclusivismo, di vietare ogni forma di privilegio e di “discriminazione”. A questo scopo, il PD s’impegna a realizzare «una gigantesca riallocazione delle risorse di lavoro, di terra e di capitale» (PG, § 5a), ossia una “ridistribuzione” dei beni in senso egualitario e collettivistico. Ma soprattutto, questa rivoluzione sociale potrà realizzarsi solo se il PD promuoverà una parallela rivoluzione nella vita quotidiana, una rivoluzione culturale che sia capace di liquidare la mentalità tradizionale e conservatrice mediante «misure urgenti e cambiamenti profondi nel modo di vivere» (MV, § 7).
Orbene, la sua tanto propagandata caratteristica “pluralistica”, che vorrebbe tranquillizzare i timorosi, è invece proprio quella che rivela la pericolosità ideologica e programmatica del PD, dalla quale intendiamo qui mettere in guardia l’opinione pubblica cattolica e benpensante.
Il “pluralismo” veltroniano, infatti, non è dovuto tanto al tentativo pragmatico d’inglobare e accontentare tutti, quanto al progetto ideologico di realizzare una “democrazia compiuta” che abolisca ogni forma di dogmatismo e di autoritarismo unendo idee, tendenze e istanze contraddittorie e inconciliabili. A chi lo derideva per il suo “ma anchismo” – ossia per la sua abitudine a relativizzare ogni posizione bilanciandola con quella opposta – Veltroni ha ribattuto in una intervista: «Penso che il “ma anche” sia l’unico modo per vivere, perché “ma anche” è l’elogio del dubbio e della laicità, è la voglia di tenere insieme le cose. L’alternativa al “ma anche” è il “senza se e senza ma”, ovvero l’anticamera del peggio, la produzione di un pensiero autoritario» (Oggi, 20-2-2008, p. 27). Prima di essere una scelta pragmatica funzionale al successo, il “ma anchismo” veltroniano si basa quindi su una convinzione ideologica che intende promuovere una mentalità, una sensibilità e uno “stile di vita” tendenti a dissolvere ogni forma di certezza, sicurezza e stabilità.
Aldilà delle frasi vaghe e fumose, il “pluralismo” veltroniano consiste semplicemente nel realizzare una politica relativistica in campo non solo sociale ma anche culturale, etico e religioso. In questo contesto, la “laicità” va intesa «come rispetto e valorizzazione del pluralismo degli orientamenti culturali, e quindi anche come riconoscimento della rilevanza, nella sfera pubblica e non solo privata, delle religioni, dei convincimenti filosofici ed etici, delle diverse forme di spiritualità» (MV, § 3). Dunque tutte le Chiese, sette o ideologie verranno messe sullo stesso piano, favorendo semmai quelle minoritarie, con la conseguente abolizione dei giusti privilegi tuttora attribuiti alla Chiesa Cattolica per i suoi enormi meriti storici, etici e culturali.
Il relativismo del PD giunge a sostenere che «la rapida evoluzione di tutte le identità umane, individuali e collettive», realizzata dalle tecnologie e dagli scambi culturali, dimostra che «non possiamo più parlare di una condizione umana acquisita una volta per tutte. (…) Sempre più la “natura umana” appare nella sua vulnerabilità e risulta dipendere dalla nostra consapevolezza e dalla nostra responsabilità» (MV, § 2), ossia non è un dono da ricevere e tutelare ma un progetto da elaborare e realizzare.
Dato questo relativismo antropologico, non meraviglia che il PD progetti la costruzione di «un tessuto sociale egualitario e solidale» (MV, § 4) che offra a tutti la garanzia della “pari opportunità”, intesa non tanto come uniformità delle posizioni di partenza, quanto come «la possibilità di ciascuno di perseguire il proprio disegno di vita» (PG, § 2), indipendentemente dalle esigenze imposte dall’etica o dal bene comune.
Questo egualitarismo non riguarda solo gl’individui ma anche le comunità presenti sul territorio. Da tempo Veltroni auspica di realizzare un’Europa «multiculturale, multireligiosa e multirazziale»: un progetto oggi rilanciato dal PD favorendo e legalizzando l’immigrazione extracomunitaria, specie quella proveniente dall’area mediterranea, affinché l’Italia diventi «un luogo di mediazione, di dialogo e d’incontro tra diverse civiltà in Europa e nel Mediterraneo» (MV, § 2). Una società aperta al libero mercato dovrebb’essere anche «una società dell’accoglienza e dell’integrazione» (MV, § 5) di popoli, culture e religioni, anche se ostili come quella islamica. Pertanto i flussi migratori vanno accolti come l’epocale opportunità di realizzare una «nuova cittadinanza globale» basata sullo jus soli che estenda agli stranieri, residenti in Italia da almeno 5 anni, tutti i diritti politici prima riservati agl’Italiani, compreso quello di votare alle elezioni (solo amministrative, per ora) (PG, § 6 l).
Per realizzare la propria rivoluzione culturale, il PD punta molto sulla scuola, alla quale affida il compito di realizzare la «democrazia della conoscenza», ossia una «cultura democratica indispensabile alla convivenza in una società sempre più plurale e multiculturale» (MV, § 6). A questo scopo, il PD programma una «educazione permanente» della società basata una istruzione statale obbligatoria e inglobante che formi gli scolari dall’asilo fino alla maggiore età, con un orario scolastico esteso all’intera giornata e perfino al periodo delle vacanze (PG, § 6 b e c). A questa scuola dovranno formarsi non solo i ragazzi, ma anche i loro genitori e perfino i docenti, per adeguarsi a quella «formazione democratica permanente» che costruirà la società solidale (PG, § 7 d). La dissoluzione delle materie, dei programmi e delle competenze scolastiche e l’intercambiabilità delle discipline e dei ruoli, già previsti dalla dalla riforma del ministro Fioroni (PD), garantiranno l’assoluto ugualitarismo cognitivo. In ultima analisi, si tratta di realizzare l’espropriazione, frammentazione e collettivizzazione dell’ultimo capitale privato, quello del sapere, allo scopo di realizzare una “condivisione delle conoscenze” che favorisca la nascita dell’ “intelletto collettivo” auspicato dalla rivoluzione cibernetica di stampo neocomunista.
Inoltre il PD esprime l’intenzione di attuare l’ «autodeterminazione sanitaria» del cittadino mediante il riconoscimento giuridico del «testamento biologico» (cfr. PG, § 4 c); con esso, il potenziale malato rifiuta preventivamente di ricevere quelle cure che potrebbero salvarlo e quindi giustifica l’intenzione statale di liquidarlo nel caso diventi un paziente costoso e “inutile”, preparando così la strada alla legalizzazione dell’eutanasia. Quest’autodeterminazione prevede anche di formare i giovani alla «procreazione responsabile» – che poi si riduce alla (dis)educazione sessuale mediante pornografia e contraccezione – e prevede l’impegno di «attuare in tutte le sue parti» la legge abortista, elogiandola come «una legge equilibrata che ha conseguito buoni risultati» (PG, § 6 n).
Nel campo del diritto familiare, il PD intende promuovere il “pluralismo” delle forme di convivenza e di sessualità, favorendo non la famiglia ma le famiglie, non i due sessi ma il gender nelle sue svariate “tendenze sessuali”, non il padre e la madre ma la “plurigenitorialità” assicurata dalla fecondazione artificiale. Pretendendo di vietare ogni forma di “discriminazione” sessuale, il PD stabilisce che «vanno riconosciuti e disciplinati per legge i diritti e i doveri delle persone conviventi in unioni di fatto» (MV, § 4), «indipendentemente dal loro orientamento sessuale» (PG, § 4 d), dunque comprendendo anche le convivenze omosessuali.
Nel campo economico, infine, il PD promuove uno strano liberismo che cerca di favorire non l’economia tradizionale basata sulla proprietà privata, bensì la socializzazione del sistema produttivo gettandolo nel caotico crogiolo del “mercato globale”. In questo modo, Veltroni tenta di mettere d’accordo i fautori del solidarismo socialista con quelli dell’ “anarchia di mercato”. In concreto, il PD intende «abbattere gli ostacoli che vengono da una società chiusa, soffocata da corporativismi, che difende l’esistente e le rendite di posizione» (MV, § 1), ossia, per parlar chiaro, le varie forme di proprietà, eredità e tradizione. Ad esempio, bisogna favorire «le imprese che aprono la propria struttura proprietaria chiusa e (…) si dotano di manager indipendenti dal proprietario-imprenditore-capofamiglia e, in generale, di forme evolute di corporate governance» (PG, § 8 a); il che significa spersonalizzare, deresponsabilizzare e collettivizzare – insomma dissolvere – quel tessuto di piccola e media imprenditoria locale e familiare che costituisce la base economica italiana.
6. Una “democrazia” intollerante e persecutoria
Veltroni ha più volte dichiarato che la democrazia, dovendo basarsi sull’ «etica del dubbio» e sulla «consapevolezza della relatività delle cose», non può ammettere affermazioni o negazioni assolute che ostacolino la libera concorrenza delle idee e la piena attuazione dei “diritti umani”, compromettendo la libertà personale e la solidarietà sociale (cfr. W. Veltroni, La bella politica, Rizzoli, Milano 1995, p. 28). Di conseguenza, bisogna condannare e vietare come attentato alla democrazia ogni posizione, scelta o norma che si basa su verità oggettive, afferma certezze assolute, difende valori indisponibili o beni non commerciabili. Pertanto, secondo il PD, «la cultura dei diritti umani mira a eliminare ogni violazione della dignità e della vita della persona, rimuovendo (…) ogni discriminazione e violenza per motivi di appartenenze razziali e sociali, di schieramento politico e culturale, di religione, di genere e di orientamento sessuale» (MV, § 2).
A questo scopo, il PD prevede di far valere le norme auspicate dall’ONU e previste dalla Carta Europea varata a Nizza, e di ricorrere alla repressione giudiziaria facendo intervenire non solo la Magistratura italiana ma anche la Corte di Giustizia Europea e il Tribunale Penale Internazionale (PG, pref.), già noti per le loro sentenze liberticide in tema di religione, famiglia e sanità. Accadrà dunque che i dissidenti che protestano contro questo sopruso verranno condannati e imprigionati per “attentato alla democrazia”, come accade in Cina? O i “fanatici” colpevoli di essere «ossessionati dal bisogno di certezze e di stabilità» verranno rinchiusi in manicomio per essere curati dalla “paranoia”, come auspica un recente libro? (cfr. Paranoia e politica, a cura di S. Forti e M. Revelli, Bollati Boringhieri, Torino 2007). Si manifestano qui l’assolutismo dei relativisti e l’intolleranza dei tolleranti, espresse dal noto motto di Voltaire realizzato dalla ghigliottina giacobina: «niente libertà per i nemici della libertà».
Come tutte le forme di tolleranza che si basano sul relativismo e su una falsa idea di libertà, anche il “pluralismo” veltroniano finirà con l’imporre un regime totalitario che realizza la dittatura dell’errore, dell’arbitrio e del vizio, cadendo così sotto quella condanna della democrazia relativistica espressa più volte dai Pontefici e recentemente da Giovanni Paolo II nella enciclica Evangelium vitae (§§ 69-70). In tale contesto, «il “pluralismo” puro conciderebbe con l’anarchismo nel senso peggiore, cioè nell’esercizio garantito del diritto del più forte» (A. Del Noce, Cristianità e laicità, Giuffré, Milano 1998, p. 90), estinguendo ogni residuo di civiltà cristiana in Italia.
7. Una “educazione permanente” al caos
Come si vede, valori e programmi del PD sono volutamente vaghi, confusi e contraddittori, allo scopo d’inoculare un relativismo che diffonde incertezza e insicurezza, suscita conflitti e instabilità, conduce alla persecuzione dei cristiani, alla guerra civile e, in ultima analisi, al caos. Ma come mai un partito come il PD, che dovrebbe rassicurare e tranquillizzare gli elettori, ha presentato un programma che favorisce il caos?
Forse la spiegazione sta nel fatto che il veltroniano Manifesto dei Valori è stato elaborato da una commissione presieduta da Alfredo Reichlin e composta da noti anticristiani come Piergiorgio Odifreddi, Salvatore Veca e Giorgio Ruffolo, ed è stato redatto soprattutto dal filosofo Mauro Ceruti. Già consulente di Achille Occhetto e fra gl’ispiratori della “svolta” del PCI nel 1993, ora consulente dell’ex ministro della Pubblica Istruzione Fioroni (PD), Ceruti è un filosofo vicino al buddhismo che è stato allievo del sociologo francese Edgar Morin, del quale condivide l’adesione alla “teoria della complessità”, più nota come “teoria del caos”.
Da questa tenebrosa ideologia proviene non tanto la strana terminologia usata nei documenti programmatici del PD – ad esempio “identità collettive”, “democrazia della conoscenza”, “educazione permanente”, “cittadinanza globale” – quanto la loro impostazione relativistica e conflittuale. La “teoria del caos”, infatti, rifiuta ogni assoluto e fondamento, ogni certezza e stabilità, esalta la contraddizione e la distruzione come le maggiori forze rinnovatrici e quindi punta ad accelerare l’evoluzione culturale, sociale e biologica suscitando «catastrofi distruttrici e creatrici» capaci di abbattere le resistenze “borghesi”, rompere gli equilibri conservatori e liberare le tendenze rivoluzionarie sia nella società che nel cosmo (cfr. M. Ceruti, Evoluzione senza fondamenti, Laterza, Roma-Bari 1995, pp. 13-15; G. Bocchi e M. Ceruti, La sfida della complessità, Feltrinelli, Milano 1986). Dalla “teoria del caos” derivano in particolare alcuni punti ideologicamente qualificanti dei testi programmatici del PD.
Ad esempio, va notata la negazione del concetto di natura umana, considerato come dogmatico e autoritario in quanto separa l’uomo dalla società e dall’ “ecosistema globale”. Ne deriva la negazione dell’ “io”, ossia del soggetto umano in quanto sostanza individuale unica e irripetibile, qui ridotto a “nodo di relazioni” da sciogliere e da dissolvere, in quanto costituisce l’ultimo monarca da spodestare, l’ultima proprietà privata da espropriare, l’ultima struttura da dissolvere e l’ultima identità da cancellare. Secondo Ceruti, per diventare pienamente libero, l’uomo deve «accettare quei molti “io” che sono in ognuno» (M. Ceruti, G. Bocchi, E. Morin, Turbare il futuro, Moretti & Vitali, Bergamo 1990, p. 247) e quindi deve frantumarsi in una “identità multipla” e contraddittoria destinata a fondersi nell’ “intelletto collettivo” (cfr. M. Ceruti, Educazione planetaria e complessità umana, in Aa. Vv., Formare alla complessità, Carocci, Roma 2005, p. 22). Parallelamente, il potere politico deve promuovere una “educazione permanente” della nazione, per far sì che l’identità intellettuale, morale e sociale del popolo venga gettata nel crogiolo della conflittualità permanente per realizzare la “condivisione” e la “solidarietà” globali (cfr. G. Bocchi e M. Ceruti, Educazione e globalizzazione, R. Cortina, Milano 2004, p. 216).
Questa impostazione antiumana e anticristiana è sostanzialmente condivisa da altri sofisti, come Massimo Cacciari e Gianni Vattimo, esponenti del “pensiero debole” e ispiratori dei “poteri forti” che oggi appoggiano il PD.
8. L’ingannevole presenza di cattolici nel PD
Da queste considerazioni, appare evidente che per un cattolico, ma anche per un semplice benpensante illuminato dal buon senso e mosso da rette intenzioni, appare impossibile aderire ai “valori”, approvare il programma, collaborare alla politica del PD. In tale contesto, conta ben poco la percentuale della presenza cattolica nelle liste elettorali di oggi, o anche nei ministeri governativi di domani. Conta semmai valutare la coerenza di questi esponenti cattolici, la loro fedeltà alla dottrina sociale cristiana, il loro impegno nel difendere i diritti di Dio e della Chiesa nella politica, la loro capacità di dimettersi piuttosto che tradire rendendosi complici d’iniziative anticristiane.
Orbene, la presenza dei cattolici nel PD è scarsa non solo per quantità ma anche per qualità, essendo costituita da personalità inserite col ruolo di richiamo, di avallo e di copertura in favore del partito. La componente cattolica nel PD svolge un ruolo simile a quello un tempo svolto dagl’ “indipendenti di sinistra” all’interno del PCI: ossia un ruolo decorativo e tranquillizzante ma non certo decisivo. Lo dimostra un grave precedente: il 2° Governo Prodi è caduto non per l’intervento di parlamentari cattolici indignati per la sua politica antifamiliare e anticristiana, ma perché affossato da un intervento della Magistratura su un ministro accusato d’illegalità. Del resto, noti parlamentari cattolici hanno ammesso che, pur chiedendo di essere votati dai fedeli, si sono candidati nel PD e vi faranno politica «in quanto democratici e non in quanto cattolici» (cfr. ad esempio Rosy Bindi su Avvenire, 26-2-2008).
Veltroni ha precisato che, proprio in virtù del “pluralismo” dei valori, nel suo partito «non ci sia mai una disciplina imposta» (Oggi, cit., p. 26). Alcuni cattolici hanno interpretato questa frase illudendosi che il PD non imporrà ai suoi membri una linea obbligatoria e vincolante nel campo dei temi “eticamente sensibili”. Ma lo stesso Veltroni ha ripetuto più volte che l’unica cosa che tiene unito il suo variopinto partito è un programma da realizzare senza obiezioni che imporrà inevitabilmente scelte ineludibili. La eventuale divergenza sulla teoria (ossia sui valori, ritenuti relativi e quindi opinabili) non potrà compromettere l’unione nella prassi (ossia nelle scelte programmatiche, ritenute assolute e quindi vincolanti sub gravi). Pertanto, i parlamentari cattolici non potranno ostacolare l’orientamento del PD, ad esempio nel campo della bioetica, e dovranno limitarsi ad esprimere il loro dissenso dall’orientamento sollevando una personale (e inefficace) obiezione di coscienza e votando contro le direttive di Veltroni… se ne avranno il coraggio.
9. Conclusione
Dal suo programma e dalla sua strategia, insomma, Veltroni ci si rivela non tanto come un illusionista furbo e pragmatico, quanto come un alchimista del caos. Stando così le cose, se le elezioni daranno un risultato di parità elettorale o d’ingovernabilità, come potrebbe il centrodestra osare di formare un patto costituzionale o un “governo di salvezza nazionale” con un partito che tenta di avvelenare e uccidere l’anima della nostra nazione?
Oggi ci si preoccupa dell’inquinamento biologico, si protesta per le scorie nucleari o per l’immondizia che va accumulandosi in alcune regioni italiane. In verità bisognerebbe piuttosto preoccuparsi e protestare per l’inquinamento ideologico e morale, favorito dai mass-media progressisti, che avvelena le nuove generazioni; l’accumularsi dell’immondizia fisica è solo una eloquente immagine dell’accumularsi dell’immondizia morale che corrompe e opprime la nostra patria impedendone la rinascita.
La principale questione dell’Italia contemporanea non è quella del sistema economico o elettorale o costituzionale, bensì è la questione della rinascita, riscossa e restaurazione culturale, morale e soprattutto religiosa. Se vuole risollevarsi dalla crisi, l’Italia deve rifiutare la falsa alternativa tra l’immobilismo e il caos e fare il contrario di quello che le suggerisce Veltroni: deve cioè ritornare alle proprie radici, ricuperare la propria identità, riprendere la propria missione storica, che consiste innanzitutto nel propagare la civiltà della retta ragione, del diritto naturale e soprattutto della Fede cristiana, e quindi nel «difendere per tutta l’Europa il patrimonio religioso e culturale innestato a Roma dagli Apostoli Pietro e Paolo» (Giovanni Paolo II, Lettera ai vescovi italiani, 6-1-1994). Questo presuppone che nazione, ceti, istituzioni e Stato tornino a rispettare l’eterna Legge riassunta nei Dieci Comandamenti, ricorrendo a Dio come Creatore dell’uomo e Legislatore della società, e più precisamente a Gesù Cristo come Redentore, Santificatore e Re non solo degl’individui ma anche della famiglia e delle altre istituzioni sociali.
Ma questa rinascita, riscossa e restaurazione potrà riuscire vittoriosa solo se il mondo cattolico italiano, ripudiando l’illusione di poter conciliare “antico” e “moderno”, Tradizione e Rivoluzione, dissiperà gli equivoci e romperà i compromessi, ponendosi con coraggio alla guida di una crociata spirituale, morale e civile – già auspicata dal prof. Plinio Corrȇa de Oliveira – per liberare il popolo dalle forze settarie che lo mantengono soggiogato con l’inganno, la seduzione e il ricatto. Parallelamente le componenti sociali della nostra nazione, finora strumentalizzate da una falsa rappresentanza politica, debbono tornare a far sentire la loro voce e il loro peso intervenendo direttamente in politica e favorendo la creazione di un’autentica classe dirigente che, rifiutando di svendersi nelle contrattazioni e nei compromessi partitici o sindacali, si consacri con lungimiranza, responsabilità e spirito di sacrificio al bene comune della patria, e particolarmente a quel sommo bene comune che è costituito dalla tradizione cristiana ereditata dai nostri avi e tuttora difesa dalla istituzione familiare e dalla Chiesa. A queste forze residue, a questo “resto d’Israele”, rivolgiamo il nostro accorato e disinteressato appello. A chi s’impegnerà nella lotta con fiducia e coraggio, Dio assicura il suo aiuto vittorioso, col quale è possibile ottenere tutto (cfr. Mc., 10, 27), anche la restaurazione della Civiltà cristiana promessa dalla Madonna a Fatima.
Roma, 28 marzo 2008 - S. Giovanni da Capistrano
Centro Culturale Lepanto
Il Presidente Fabio Bernabei
Il Vicepresidente Guido Vignelli
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Appendice:
Le premesse ideologiche del “Manifesto dei Valori” del PD,
fattore d’instabilità, caos e disperazione
Il volto sorridente di Walter Veltroni, già discepolo dell’ex segretario del PCI Achille Occhetto, già gerarca dell’organizzazione giovanile del PCI e poi arrivato ad essere vicesegretario del Partito di via delle Botteghe Oscure, già direttore del quotidiano “L’Unità”, afferma di non essere mai stato comunista. Altrettanto decisamente affermerebbe, se accusato di voler sprofondare l’Italia nel caos, di volere al contrario un futuro di stabilità e prosperità per il nostro Paese.
Ma anche qui riscontreremmo una contraddizione, evidenziata proprio dal Manifesto dei Valori del Partito Democratico, il testo che secondo Veltroni pone i fondamenti del programma e dell’identità del PD. A capo della commissione che ha redatto il Manifesto è stato posto come presidente Alfredo Reichlin, iscrittosi nel Partito Comunista ai tempi di Stalin (1946) e che da allora ha seguito tutte le trasformazioni del comunismo italiano (togliattismo, eurocomunismo berlingueriano, PDS, DS ed oggi PD).
Più sostanziale è stato però il ruolo del relatore del Manifesto dei Valori del Partito Democratico, il professor Mauro Ceruti, il quale è noto per essere un teorico della complessità e del caos (1), studioso di Jean Piaget e discepolo di quel maestro della teoria del caos che è Edgar Morin, insieme al quale sostenne le linee guida della segreteria Occhetto, fino a che costui non fu cacciato dal suo posto ad opera di un Partito intimorito dalle conseguenze della sua politica.
I teorici del caos e della complessità sono coloro che postulano come elemento essenziale dell’evoluzione della società e dell’universo il manifestarsi di “catastrofi” “nel senso attribuito al termine da René Thom” (2), dando una nuova veste ad “una problematica che Marx avrebbe ricordato nel primo libro del Capitale a proposito della trasformazione del valore in capitale, e che poi sarebbe stata ripresa e generalizzata nell’Anti-Dühring di Engels e largamente ricorrente nella sua Dialettica della natura” (3); il Ceruti, in particolare, esalta come motore dell’evoluzione, e delle innovazioni più radicali, le grandi catastrofi: “Esse sono distruttrici e creatrici nello stesso tempo” (4) e intende le “catastrofi (nel senso tecnico, come anche nel senso più letterale del termine)” (5) non solo a livello naturale perché il superiore livello socioculturale si limita all’astrazione di ciò che viene dal basso (6).
Il professor Mauro Ceruti, relatore della commissione, è stato anche quello che ha dato forma e contenuti al Manifesto, come provano i termini usati nel testo ed il tono generale del medesimo, che ritroviamo nelle opere di Edgar Morin e dei suoi discepoli italiani, quali appunto il Ceruti e Gianluca Bocchi.
Ad esempio le inquietanti virgolette apposte al termine “natura umana” al § 2 n. 3 del Manifesto ci rimandano all’avversione espressa dal Ceruti verso “la stessa idea di natura umana” (7): egli infatti si rifà ad “un’epistemologia, che chiameremo costruttivista” (8), perché “essa veicola un concetto-chiave: il Sé non è una sostanza né si riferisce a una struttura determinata, ovvero non esiste un Sé unico ed irripetibile” (9).
Da questo concetto chiave il relatore del Manifesto dei Valori del PD deduce che “il compito urgente è di aiutare l’individuo a percepirsi come un’identità multipla, aiutandolo nel contempo a percepire gli altri come identità altrettanto multiple.” (10). Spiegazione: se è falsa la concezione cristiana di un’anima individuale, di un Sé unico ed irripetibile, il quale ha attributi ed accidenti come essere uomo o donna, italiano o straniero, sano o malato, tifoso sportivo o no, ecco che ciascuno di noi diventa una “soggettività” (non un soggetto) ossia un nodo di relazioni (con la comunità sessuale maschile e femminile, con la comunità nazionale ed internazionale, con la comunità sportiva o con quella ospedaliera) ed ognuna di queste relazioni, quali essere frequentatore di un bar o di un altro, di una sala da bocce o di un campo da tennis, diventa una delle identità diverse incrociate nello stesso nodo o “soggettività”, ove si connettono “identità di tipo spaziale (quali sono l’appartenenza ad uno Stato, a una regione, a un continente, a una città) e identità di tipo non spaziale, identità puramente individuali e identità collettive, identità antiche e identità nuove.” (11).
Queste relazioni sono dette identità (“identità umane individuali e collettive” recita il Manifesto del PD al § 2) per affermare che senza di esse non abbiamo diritto ad essere considerati, non esistiamo più allo stesso modo di un nodo che scompare se togliamo via i fili che si incrociavano.
Il Manifesto dei Valori del PD assume quindi una posizione radicalmente (ossia in radice) abortista ed eutanasista, in quanto presuppone che non esiste una natura umana unica ed irripetibile, indipendente dall’avere relazioni con gli altri, persino con la madre che lo ospita e lo nutre nell’utero: i sostenitori dell’aborto infatti sostengono che se perde l’unica relazione che un feto può avere, l’amore della madre, quel feto non ha più diritto ad esistere, così come senza fili non esiste il nodo; ed i sostenitori dell’eutanasia sostengono che chi non è più in grado di avere relazioni accettabili con il prossimo (perché in coma, etc.) non ha più le sue identità multiple e perciò la “soggettività” scompare, perde il diritto all’esistenza.
La cd. “democrazia della conoscenza” che troviamo citata nel Manifesto del PD ai §§ 2 e 6 è pur essa un concetto caro al Morin ed al suo discepolo Ceruti che già nel 1990 si ponevano “il problema storico chiave della democrazia cognitiva” (12) ed affermavano “la necessità di una presa di coscienza politica della necessità di operare per una democrazia cognitiva” (13), nel quadro di un rifiuto della “superspecializzazione, della separazione e dello spezzettamento del sapere” (14).
La “democrazia cognitiva” è a favore dell’”intelletto collettivo” ed è contro la proprietà privata del sapere, contro “il diritto di acquisire un sapere specializzato facendo gli studi ad hoc” (15), mentre invece afferma che “la razionalità e la scientificità chiedono di essere ridefinite e complessificate” (16) allo scopo di risolvere “il vecchio problema posto da Marx nella terza tesi su Feuerbach: chi educherà gli educatori?” (17).
Per capire come dovrebbe funzionare la società dell’”intelletto collettivo” (18) o del “general intellect” per usare il termine di Marx (19), basteranno le poche righe ove un altro teorico della complessità critica una università come Oxford o Cambridge, dove il professore conosce benissimo la sua materia, lo studente un poco o molto meno ed il bidello per nulla, mentre invece esalta come esempio di intelligenza collettiva una rosticceria ove ogni dipendente ruota a turno fra il lavoro in cucina, al banco ed alla cassa e perciò tutti sanno le stesse cose, lì esiste la perfetta democrazia della conoscenza (20).
E’ evidente infatti che nessuna condivisione delle conoscenze può innalzare al livello di Aristotele chi non ne è mentalmente capace, perciò è d’obbligo per i democratici della conoscenza abbassare l’intelligenza collettiva al minimo livello comune.
Caotico è il significato dato ai termini “sapere, intelligenza” citati nel § 4 n. 7 del Manifesto del PD perché caotica è la prospettiva sociale e lavorativa indicata nello stesso capoverso a cittadini privati di una identità stabile e invitati ad accettare “flessibilità e frequenti cambiamenti nel corso della vita lavorativa”.
Se il cittadino, uomo o donna, disegnato dal Manifesto dovrebbe rassegnarsi a passare da un periodo di lavoro come avvocato ad un periodo come benzinaio e poi da un periodo come medico chirurgo ad un periodo come panettiere, diventa fuorviante, per il professor Ceruti, una scuola che curi lo “sviluppo di competenze ben definibili e precisabili” (21).
Al contrario la scuola dovrà essere costretta a fare “una coraggiosa inversione di rotta rispetto alle ‘missioni’ del suo passato” (22) ed orientarsi alla cd. “educazione permanente” citata nel Manifesto, § 6 n. 2, ossia quel “percorso educativo e formativo che duri per l’intera vita lavorativa”, citato nel § 5 n. 2 del Manifesto.
Spiegazione: se il lavoratore deve passare da un periodo come fiorista ad uno come notaio e poi come magazziniere e poi come commercialista e poi come dentista è ovvio che non necessita di “competenze ben definibili”, ma deve in continuazione imparare un minimo di nozioni sul lavoro del momento, soddisfacendo così “complessità” e “democrazia della conoscenza”.
Quanto agli ordini professionali, discendenti delle gloriose Corporazioni che fino alla fine del XVIII secolo concorsero alla prosperità dell’Europa cristiana ed alla sua preminenza nel mondo, nati per essere fattori di controllo e garanzia sulla qualità delle prestazioni rese dai loro membri difendendo insieme i principî di autonomia e di autorità nel mondo economico ove l’avidità personale tende all’anarchia e al danno reciproco, contro di essi il caotico relatore promette, nel § 4 n. 5, “uno scontro duro”.
L’ “educazione permanente” dovrebbe essere inoltre lo strumento per vincere in noi “la paura di accettare quei molti ‘io’ che sono in ognuno” (23), secondo il disegno di Morin, maestro di pensiero del relatore del Manifesto del PD: “La riforma dell’insegnamento deve condurre alla riforma di pensiero” (24), ossia il tentativo di “realizzare intelligenze collettive e connettive” (25).
Anche secondo altri teorici del caos l’educazione permanente deve servire a schiacciare ogni identità individuale stabile e definita: ”Qual è il rischio per un individuo come per un’impresa? Concepire la propria identità come un bene da difendere dall’assedio altrui, da iperproteggere a costo di trasformarla in un feticcio. I meccanismi dell’apprendimento fungono da anticorpi a tale sclerotizzazione” (26). Il cittadino dovrà essere quindi costretto ad una “perenne metamorfosi (o apprendimento, il che è lo stesso)” (27).
Lo stesso professor Ceruti ammetteva comunque, ancora nel 2005, che “il passaggio da una visione istruttiva ad una costruttiva della formazione è una transizione talmente radicale e difficile che le sue implicazioni non sono ancora comprese appieno nemmeno sul piano educativo, e tantomeno su quello politico e sociale” (28).
Caotica è anche la prospettiva che il Manifesto apre alla nostra Patria, basata nel § 5 n. 6, su un’”autonomia” ed un “federalismo” a loro volta fondati sulla “autorganizzazione”, concetto che è il vero totem dei teorici del caos e la principale caratteristica della “fenomenologia caotica e/o complessa” (29). Tale caotica visione è ovviamente estesa all’Unione Europea.
E’ bene quindi chiedersi cosa intende il Manifesto dei Valori del Partito Democratico per “democrazia forte” (§ 1 n. 6 e § 3 n. 1) o per “scontro duro” (§ 4 n. 5).
Grave errore sarebbe anche quello di illudersi che la radicalità delle idee espressa nel Manifesto trovi freni e contrappesi nell’alleanza del PD con gli imprenditori ed i finanzieri più aperti alle teorie del caos e del mercatismo (l’auto-organizzazione del mercato, versione economica delle teorie della complessità): un intellettuale italiano che nessuno può accusare di moderatismo come il professor Antonio (Toni) Negri ha esplicitamente affermato che la condizione necessaria al successo della “insurrezione proliferante di proposte democratiche e di solidarietà globale (…) postmoderna” (30) è l’alleanza tattica con le élites dell’aristocrazia finanziaria ed imprenditoriale multinazionale (31).
Dove porterà l’Italia questo itinerario di riforme?
Impossibile qualsiasi previsione nella prospettiva culturale caotica scelta da Veltroni per il Manifesto dei Valori del suo partito. Infatti, “una delle maggiori acquisizioni della teoria del caos è che tale imprevedibilità non è dovuta alla mancanza di informazioni sul sistema stesso, non può essere colmata dall’acquisizione di nuove informazioni, bensì è una proprietà intrinseca” (32).
Da parte sua il professor Mauro Ceruti afferma crudamente: “Sta emergendo la soglia di un’età nuova. Per poter attraversare questa soglia, siamo costretti a farci carico di quanto nell’età moderna si è cercato di dilazionare, siamo spinti ad affrontare e a vivere gli eventi in tutta la loro crudezza e in tutta la loro potenza, creatrice e distruttrice, senza confidare nel fatto che qualche ordine nascosto o qualche senso prestabilito li possa in qualche modo disinnescare.” (33).
Al di là degli slogan politici di propaganda non può esservi un orizzonte di speranza in chi si è formato umanamente e culturalmente nella prospettiva marxista, incapace di trascendenza rispetto alla materia, che è cieca e senza volontà.
Lo stesso Engels, scrivendo sotto la supervisione di Marx l’Anti-Dühring, lodava nel socialista utopista Fourier la mancanza di fede nel progresso necessario dell’umanità: “Come Kant introdusse nella scienza naturale la futura distruzione della terra, così Fourier introduce nel pensiero storiografico la futura distruzione dell’umanità” (34).
In un libro a più mani sul tema dell’auto-organizzazione come fondamento delle relazioni umane, presentato dal professor Mauro Ceruti, leggiamo queste righe: “Suppongo che si dovrebbe ammettere che (…) un mondo del caos potrebbe sembrare abbastanza privo di speranza dopo un po’. Ma (…) penso che per me stesso preferirei il mondo senza speranze” (35).
Note all’Appendice
1) cfr. M. Ceruti, Evoluzione senza fondamenti, Roma-Bari, Laterza, 1995, pp. 13-15.
2) C. S. Bertuglia, F. Vaio, Non linearità, caos, complessità. Le dinamiche dei sistemi naturali e sociali, Torino, Bollati Boringhieri, 2003, p. 302; cfr. M. Cini, Prefazione, in T. Tonietti, Catastrofi. Il preludio alla complessità, Bari, Ed. Dedalo, 2002, pp. 10-14.
3) M. Ceruti, La danza che crea, Milano, Feltrinelli, 1989, p. 37.
4) M. Ceruti, Evoluzione senza fondamenti, cit., p. 36.
5) op.cit., p. 29.
6) M. Ceruti, G. Bocchi, Disordine e costruzione, Milano, Feltrinelli, 1981, p. 255.
7) M. Ceruti, G. Bocchi, E. Morin, Turbare il futuro, Bergamo, Moretti & Vitali, 1990, p. 250.
8) M. Ceruti, La danza che crea, cit., p. 13.
9) E. Gattico, Costruttivismo e scienze dell’uomo: la psicologia genetica, in E. Gattico, G. P. Storari, pref. di M. Ceruti, Costruttivismo e scienze della formazione, Milano, Unicopli, 2005, p. 129.
10) M. Ceruti, Educazione planetaria e complessità umana, in M. Callari Galli, F. Cambi, M. Ceruti, Formare alla complessità, Roma, Carocci, 2005, p. 22.
11) ibidem.
12) M. Ceruti, G. Bocchi, E. Morin, Turbare il futuro, cit., p. 259.
13) ibidem.
14) op.cit., p. 258.
15) ibidem.
16) op.cit., p. 260.
17) op.cit., p. 261.
18) cfr. P. Lévy, L’intelligenza collettiva., Milano, Feltrinelli, 1996.
19) K. Marx, Lineamenti fondamentali di critica dell’economia politica (Grundrisse), Torino, Einaudi, 1983, p. 719.
20) cfr T.A. Stewart, Il capitale intellettuale, Milano, Ponte alle Grazie, 1999, p. 124.
21) M. Ceruti, Educazione planetaria e complessità umana, cit., p.17.
22) op.cit., p.21.
23) M. Ceruti, G. Bocchi, E. Morin, Turbare il futuro, cit., p. 247.
24) E. Morin, La testa ben fatta, Milano, R. Cortina, 2000, p.13.
25) G. Bocchi, M. Ceruti, Educazione e globalizzazione, Milano, R. Cortina, 2004, p. 216.
26) R. Di Caro, “L’ebreo globale”, in “D”, suppl. a “La Repubblica”, 17-10-2000.
27) P. Lévy, L’intelligenza collettiva, cit., p. 37.
28) M. Ceruti, Prefazione, in E. Gattico, G.P. Storari, Costruttivismo e scienze della formazione, cit., p. 14.
29) C. Galli, Genealogia della politica, Bologna, Il Mulino, 1996, p.851.
30) A. Negri, L’Europa e l’Impero, Roma, manifestolibri, 2003, p.165.
31) ibidem.
32) P. Bellavite, G. Andrighetto, M. Zatti, Omeostasi, Complessità e Caos, Milano, Franco Angeli, 1995, p. 10.
33) M. Ceruti, Evoluzione senza fondamenti, cit., p. 84.
34) F. Engels, Anti-Dühring, in K. Marx, F. Engels, Opere, vol. XXV, Roma, Editori Riuniti, 1974, p. 250.
35) V. Kenny, Anticipando l’autopoiesi, in A. L. Goldsmith, a cura di, pres. di M. Ceruti, L’auto-organizzazione in psicoterapia, Milano, Guerini, 1995, p. 106.
Alla vigilia delle elezioni politiche, il Centro Culturale Lepanto presenta un breve esame critico dei testi programmatici del PD di Veltroni, allo scopo di mettere in guardia l’opinione pubblica dalla loro ideologia relativistica e dalla loro strategia ingannevole che tenta di nascondere il fallimento della sinistra. Se il PD ingloba candidature incompatibili e propaganda valori contraddittori, lo fa non tanto per ottenere successo tentando di accontentare tutti, quanto per realizzare una rivoluzione culturale e politica che diffonde incertezza e insicurezza, suscita conflitti e instabilità, conduce alla persecuzione dei dissidenti, alla guerra civile e, in ultima analisi, al caos.
1. Una campagna deideologizzata
La campagna elettorale in corso tenta di coinvolgere quei numerosi italiani che negli ultimi anni si sono astenuti, e punta a convincere quel terzo dei potenziali votanti che non ha ancora fatto la propria scelta. Orbene, una recente indagine del Censis ha accertato che l’elettorato vota ancora basandosi sui propri princìpi (50%) e considerando molto più i programmi dei partiti (23%) che la loro immagine o i loro capi (cfr. Corriere della Sera, 20-3-2008). Eppure la campagna elettorale cerca di evitare i temi ideologici, limitandosi a parlare di economia e a fare polemiche di basso profilo. Ciò rischia di allontanare i cittadini dalle urne, in quanto favorisce l’impressione che i partiti e i loro programmi si differenzino solo per motivi accidentali, tanto più che nessuno di loro riflette pienamente e credibilmente la concezione cristiana della società.
Ora, questa esclusione dei temi ideologici è comprensibile ed anzi utile per lo schieramento di centrosinistra. Esso infatti manca di coesione ideologica e può vincere solo evitando contrapposizioni ideali; come ha ammesso Ermete Realacci, responsabile della comunicazione del PD, «abbassando il tono della conflittualità, noi abbassiamo le difese immunitarie di quella parte di elettori che, nelle ultime tornate, hanno votato centrodestra, perché sono state (…) catturate dalle campagne anticomuniste del Cavaliere» (Il Giornale, 18-2-2008).
Ma l’esclusione dei temi ideologici è incomprensibile ed anzi pericolosa per lo schieramento di centrodestra. Esso difatti ha una certa omogeneità ideologica e può vincere soprattutto se si fa portavoce e difensore dell’identità culturale e morale dell’Italia cristiana contro il progetto relativista e “multiculturalista” della Sinistra. Evitando la battaglia ideologica, invece, il centrodestra rischia di fare la fine del Partito Popolare Spagnolo, che è stato sconfitto alle elezioni appunto perché non ha saputo opporre valide scelte valoriali a quelle fatte dal PSE di Zapatero.
Inoltre, i temi ideologici non sono solo vincenti ma anche e soprattutto ineludibili e prioritari, poiché stanno alla radice dell’attuale crisi politica e sociale. Fra tutti costoro, il primo è la “questione antropologica”, a suo tempo sollevata dal card. Camillo Ruini: ossia la concezione dell’uomo – implicita nei programmi partitici e soprattutto nelle azioni governative – che condiziona le scelte politiche riguardanti la famiglia, la vita, la scuola e la giustizia, prima ancora che l’economia e la sicurezza. Questa concezione dell’uomo costituisce pertanto il principale criterio con cui gl’Italiani debbono valutare le fazioni in campo per ben scegliere, un criterio che vale anche per i cattolici: «Non è l’identità confessionale che deve rilevare politicamente per l’elettore, ma l’antropologia di riferimento dei candidati e dei partiti», ha ammonito Francesco D’Agostino, presidente dei Giuristi Cattolici Italiani (cfr. Avvenire, 24-2-2008).
2. Una separazione consensuale, tattica e provvisoria
Fra le fazioni oggi in gara, il Partito Democratico (PD) di Walter Veltroni è quello che, pur avendo un’antica e precisa radice ideologica, mette la maggior cura nel nasconderla sotto un’apparenza di novità, “buonismo” e pluralismo. Come inno del proprio partito, Veltroni ha scelto una canzone di Jovanotti che s’intitola allusivamente Mi fido di te. Ma già se consideriamo il testo demenziale della canzone, ci vengono dubbi sull’affidabilità del candidato-premier; se poi esaminiamo il suo partito, arriviamo alla conclusione che dobbiamo diffidarne completamente.
La novità del PD consisterebbe nel fatto di proporre una politica “moderata” e “riformista”, per realizzare la quale sarebbe nato separandosi dall’ala estrema dell’Unione, ala oggi rappresentata dalla Sinistra Arcobaleno. In realtà, questa manovra non ha fatto altro che risuscitare il vecchio centrosinistra, ossia quello schieramento partitico che ci ha governato per quasi 40 anni, favorendo proprio quella gravissima crisi politica, sociale, culturale e spirituale dalla quale dobbiamo risollevarci.
La nascita del PD è inoltre una operazione già vista, analoga a quella che fecero prima i socialisti e poi i comunisti negli anni Sessanta e Settanta. Allora essi si separarono consensualmente dalla loro ala estremistica, allo scopo di accreditarsi come fazione “moderata”, tranquillizzare i benpensanti e ottenere così voti e appoggi sufficienti per conquistare il potere ufficiale; ma, una volta ottenuto questo risultato, sia i socialisti che i comunisti recuperarono la loro ala estrema, per governare insieme ad essa realizzando un programma massimalista, come ha tentato di fare recentemente l’Unione con i due Governi Prodi.
Possiamo quindi ritenere che anche l’attuale separazione tra PD e Sinistra Arcobaleno sia solo una manovra tattica fatta consensualmente per uno scopo preciso: fare oggi un passo indietro per farne domani due in avanti. Preoccupato di far dimenticare l’estremismo e i fallimenti dei Governi Prodi, ma anche di sedurre quei benpensanti non più ingannati dal vecchio “centrismo”, oggi il PD ha preferito presentarsi agli elettori senza la compromettente alleanza con l’estrema sinistra, sperando di vincere ugualmente le elezioni grazie alla divisione del centrodestra, o perlomeno sperando di ottenere dai “moderati” quel vasto consenso che gli permetta una successiva rivincita. Ma domani, non appena la vigilanza della opinione pubblica si sarà attenuata, il PD cercherà di ricuperare la Sinistra Arcobaleno per tornare a perseguire insieme la vecchia politica massimalistica.
Queta nostra analisi viene confermata da fatti significativi. Basi sindacali ed élite barricadiere di matrice comunista non solo non contestano ma anzi appoggiano la svolta “moderata” del PD, anche candidandovi loro esponenti; è questo il caso della CGIL e dei “girotondini”, e forse anche degli anarchici dei Centri Sociali Autogestiti, se non altro per riconoscenza della protezione a lungo ricevuta da Veltroni. Inoltre, nelle elezioni amministrative il PD ha prudentemente mantenuto l’alleanza elettorale con l’estrema sinistra, allo scopo di battere il centrodestra e conservare a livello locale quel potere che potrebbe perdere a livello nazionale. Come si vede, si tratta di rischi calcolati funzionali a salvare il salvabile e a preparare una futura rivincita.
3. Passate colpe del PD
Per prevedere cosa farebbe il PD se andasse al Governo, basta rievocare quello che esso stesso, o le sue componenti che l’hanno generato (DS e Margherita), hanno già fatto o tentato di fare nel periodo in cui hanno costituito l’elemento fondamentale dei passati Governi Prodi. Per limitarci all’ultimo, ricordiamo ad esempio alcuni fatti significativi:
Il 30 maggio 2006, con la determinante approvazione del PD, il Governo ha permesso la sperimentazione embrionale, facendo fallire la relativa moratoria sancita dall’Unione Europea.
Il 27 giugno 2006, parlamentari e capigruppo del PD – tra i quali Ignazio Marino e Anna Finocchiaro – hanno presentato un progetto di legge per il “testamento biologico”, allo scopo di aprire la strada alla legalizzazione dell’eutanasia.
Il 13 novembre 2006, il ministro della Salute Livia Turco (PD) ha emanato un decreto che eleva da 500 a 1000 mlg il quantitativo massimo di cannabis che può essere detenuto per “uso personale”, allo scopo di aprire la strada alla completa liberalizzazione del consumo di droghe.
Il 25 gennaio 2007, ministri e parlamentari del PD, fra i quali Giuliano Amato, hanno tentato di varare un disegno di legge governativo che, inasprendo la già liberticida “legge Mancino”, condanna come reato penale ogni forma di “discriminazione” verso qualsiasi “tendenza sessuale”.
L’8 febbraio 2007, i ministri Rosy Bindi e Barbara Pollastrini (entrambi del PD) hanno tentato di legalizzare le convivenze (anche omosessuali) parificandole al matrimonio; questo disegno di legge, chiamato Di.Co, è stato poi rinnovata il 12 luglio 2007 col nome di Cus.
A partire dal luglio 2007, il ministro Turco ha fatto vari tentativi di peggiorare la già criticabile legge n. 40 sulla fecondazione artificiale, mediante il varo di linee-guida che la liberalizzassero ulteriormente.
Nell’autunno 2007, il PD ha tentato di varare un progetto di legge che, con la scusa di prevenire la violenza sessuale, punisce anche la “omofobia”, ossia in realtà ogni forma di critica o difesa dalla propaganda e dalla pratica dell’omosessualismo militante.
Nel dicembre 2007, il ministro dei Beni Culturali Francesco Rutelli (PD) ha tentato di abolire quel poco di censura preventiva rimasta su film, telefilm e videogiochi, sostituendola con un’ “autoregolamentazione” affidata agli stessi produttori.
Tra la fine del 2007 e l’inizio del 2008, il ministro Turco ha diffuso sul video e per le strade un messaggio governativo che, col pretesto di prevenire le malattie sessuali, esorta i ragazzi a usare i contraccettivi; ha poi tentato d’imporre a Consultori, Pronto Soccorso e Guardie Mediche di fornire a basso costo la contraccezione d’emergenza (abortiva).
Il 15 febbraio 2008, il ministro Turco ha tentato di varare un decreto che limita l’obiezione di coscienza del personale medico e farmacistico, allo scopo di assicurare il pieno accesso a quel “servizio sociale” che è l’aborto in modo da garantire “il supremo valore della libertà delle donne”.
Il 13 marzo 2008, il ministro Bindi ha rivoluzionato l’Osservatorio Governativo sulla Famiglia, affidandolo a esperti – come il giurista Balduzzi e i politici Vendola e Cofferati – che ne garantiscano l’orientamento in senso progressista e permissivo.
A tutto questo possiamo aggiungere che, nelle Regioni governate dal PD – ovviamente assieme all’estrema sinistra – si sono moltiplicate iniziative che contraddicono i valori cristiani e penalizzano le fondamentali istituzioni civili, come la famiglia e la proprietà; lo dimostrano i casi di Piemonte, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Lazio, Campania e Sardegna.
4. Un partito onnivoro e un minestrone indigesto
In questo contesto, è importante esaminare il PD nei suoi aspetti ideologicamente più qualificanti, espressi nel Programma di Governo (PG, varato il 25-2-2008) e soprattutto nel Manifesto dei Valori (MV, varato il 16-2-2008); entrambi questi documenti vanno presi sul serio, se non altro perché uno dei loro autori (Morando) ha dichiarato che «stavolta siamo stati liberi di scrivere quello che vogliamo fare» (L’Unità, 20-2-2008).
Già il modo artificioso in cui è stato elaborato il programma veltroniano rivela un modo settario d’intendere la politica. Se il metodo naturale imporrebbe di forgiare il programma sulla base delle idee, nel PD invece il “chi siamo” viene esplicitamente determinato dal “cosa vogliamo” (MV, § 7): ossia l’identità ideologica viene manipolata dalle esigenze pratiche, che impongono di ottenere il consenso necessario per conquistare il potere e con questo attuare una prassi rivoluzionaria. Anche qui non c’è nulla di nuovo, perché il PD si dimostra erede degli antichi circoli giacobini, nei quali l’unità partitica veniva determinata dalle esigenze pratiche sorte dalla discussione.
Anche per questo, il PD si definisce come «un partito aperto, (…) un laboratorio d’idee e di progetti» composto da «diverse storie politiche, culturali ed umane che (…) diventano fattore di arricchimento e di fecondazione reciproca» (MV, § 2) e permettono di costruire «una convivenza unitaria e plurale» (MV, § 7). Sia nei candidati proposti che nei temi propagandati, Veltroni ha messo assieme gl’ingredienti più incompatibili confezionando una sorta di melting pot, un minestrone confuso e indigesto. Il PD ha candidato assieme CGIL e Federmeccanica, radicali e “teodem”, abortisti e antiabortisti, ecologisti e antiecologisti, militaristi e pacifisti, “giustizialisti” e garantisti, tutori dell’ordine e fomentatori della “disobbedienza civile”. Nel PD sono confluite idee e istanze provenienti da liberalismo e socialismo, individualismo e collettivismo, centralismo e localismo, legalismo e ribellismo, “giustizialismo” e garantismo. Pretendendo di accogliere ideologie di opposta tendenza allo scopo di contemperarle, il PD rischia di unire i difetti di entrambe e di bilanciare un eccesso con quello opposto, diventando così, in campo politico-sociale, quello che la setta modernista fu in campo religioso: ossia «la cloaca di tutte le eresie», secondo la caustica definizione di Papa san Pio X.
Ieri la vecchia politica democristiana si basava sul metodo della “mediazione”, consistente nel favorire il compromesso tra idee e istanze estreme e tentando una “politica del centro” che isolasse gli “opposti estremismi”; com’è noto, questa politica ha progressivamente mercanteggiato e svenduto valori, conquiste e istituzioni cristiane, favorendo la secolarizzazione della società e pertanto la sua crisi.
Oggi invece la nuova politica veltroniana si basa sul metodo della “inclusione”, cercando d’inglobare diverse, divergenti e inconciliabili tendenze della società. Veltroni crede che, facendo emergere le contraddizioni sociali e politiche, fomentando lo «scontro duro» (MV, § 4 e) tra le forze conservatrici e quelli progressiste, favorendo il conflitto tra le opposte identità, istanze e tendenze (culturali, religiose e perfino sessuali), si potrà uscire dall’attuale situazione di stasi conservatrice, realizzando quel “salto di qualità” e quella “sorpresa della Storia” sognati dal marxismo: ossia la nuova società ugualitaria, senza discriminazioni né disuguaglianze. Come gli antichi alchimisti sostenevano che ordo ab chaos, (“l’ordine scaturirà dal caos”), così il moderno alchimista Veltroni tenta di suscitare una rivoluzione libertaria che getti la società nel caos, nella speranza di farne magicamente scaturire il “nuovo ordine mondiale”, realizzando il passaggio dalla “modernità” alla “postmodernità”. Del resto, solo così potrebbe realizzarsi quel sovvertimento della società, della cultura e dello stile di vita tradizionale, quella dissoluzione culturale, spirituale e tendenziale, che permetta al comunismo di compiere la propria missione consistente nell’ «uccidere il cristianesimo», come auspicava un secolo fa Antonio Gramsci (cfr. Audacia e fede, su Avanti!, 22-5-1916).
Ovviamente questo metodo “inclusivo” ha anche un aspetto tipicamente pragmatico che applica la prudenza della vecchia strategia leninista. Per nascondere il fallimento del socialcomunismo e per aggirare gli ostacoli che impediscono la marcia rivoluzionaria verso la “democrazia compiuta”, l’ideologia e il programma del centrosinistra vengono allargati fin quasi al punto d’inglobare quelli del fronte opposto. Non dimentichiamo che Lenin ammoniva il Partito Comunista russo ad esser pronto a scatenare la rivoluzione, ma anche, nel caso questa fallisse, a mettersi alla guida della “controrivoluzione” per imbrigliarla e neutralizzarla. Da buon allievo ed erede del leninista Berlinguer, Veltroni oggi tenta una strategia analoga: per nascondere il fallimento della sinistra e superare l’attuale stallo, il PD deve portare avanti le istanze progressiste, ma anche imbrigliare e neutralizzare quella sana reazione in difesa della Religione, della famiglia, della vita, della proprietà e della sicurezza, che va sempre più chiaramente emergendo dalla società civile e manifestandosi nell’opinione pubblica.
5. Un “pluralismo” relativistico
Tuttavia, la strategia veltroniana è finalizzata a realizzare un progetto ideologico adombrato in modo confuso e ingannevole dai citati documenti programmatici del PD. Essi partono dal constatare che l’attuale processo di globalizzazione sta trasformando il mondo in «una trama complessa di relazioni in continua evoluzione» (MV, § 7) che realizza «l’interdipendenza tra nazioni, popoli e culture» (MV, § 2). Bisogna pertanto favorire l’avvento di una «democrazia planetaria», una «società aperta e inclusiva» che realizzerà il pieno “pluralismo” e nella quale «nessuno venga escluso», come ammonisce il noto slogan veltroniano.
Di conseguenza il PD s’incarica di abolire ogni assolutismo ed esclusivismo, di vietare ogni forma di privilegio e di “discriminazione”. A questo scopo, il PD s’impegna a realizzare «una gigantesca riallocazione delle risorse di lavoro, di terra e di capitale» (PG, § 5a), ossia una “ridistribuzione” dei beni in senso egualitario e collettivistico. Ma soprattutto, questa rivoluzione sociale potrà realizzarsi solo se il PD promuoverà una parallela rivoluzione nella vita quotidiana, una rivoluzione culturale che sia capace di liquidare la mentalità tradizionale e conservatrice mediante «misure urgenti e cambiamenti profondi nel modo di vivere» (MV, § 7).
Orbene, la sua tanto propagandata caratteristica “pluralistica”, che vorrebbe tranquillizzare i timorosi, è invece proprio quella che rivela la pericolosità ideologica e programmatica del PD, dalla quale intendiamo qui mettere in guardia l’opinione pubblica cattolica e benpensante.
Il “pluralismo” veltroniano, infatti, non è dovuto tanto al tentativo pragmatico d’inglobare e accontentare tutti, quanto al progetto ideologico di realizzare una “democrazia compiuta” che abolisca ogni forma di dogmatismo e di autoritarismo unendo idee, tendenze e istanze contraddittorie e inconciliabili. A chi lo derideva per il suo “ma anchismo” – ossia per la sua abitudine a relativizzare ogni posizione bilanciandola con quella opposta – Veltroni ha ribattuto in una intervista: «Penso che il “ma anche” sia l’unico modo per vivere, perché “ma anche” è l’elogio del dubbio e della laicità, è la voglia di tenere insieme le cose. L’alternativa al “ma anche” è il “senza se e senza ma”, ovvero l’anticamera del peggio, la produzione di un pensiero autoritario» (Oggi, 20-2-2008, p. 27). Prima di essere una scelta pragmatica funzionale al successo, il “ma anchismo” veltroniano si basa quindi su una convinzione ideologica che intende promuovere una mentalità, una sensibilità e uno “stile di vita” tendenti a dissolvere ogni forma di certezza, sicurezza e stabilità.
Aldilà delle frasi vaghe e fumose, il “pluralismo” veltroniano consiste semplicemente nel realizzare una politica relativistica in campo non solo sociale ma anche culturale, etico e religioso. In questo contesto, la “laicità” va intesa «come rispetto e valorizzazione del pluralismo degli orientamenti culturali, e quindi anche come riconoscimento della rilevanza, nella sfera pubblica e non solo privata, delle religioni, dei convincimenti filosofici ed etici, delle diverse forme di spiritualità» (MV, § 3). Dunque tutte le Chiese, sette o ideologie verranno messe sullo stesso piano, favorendo semmai quelle minoritarie, con la conseguente abolizione dei giusti privilegi tuttora attribuiti alla Chiesa Cattolica per i suoi enormi meriti storici, etici e culturali.
Il relativismo del PD giunge a sostenere che «la rapida evoluzione di tutte le identità umane, individuali e collettive», realizzata dalle tecnologie e dagli scambi culturali, dimostra che «non possiamo più parlare di una condizione umana acquisita una volta per tutte. (…) Sempre più la “natura umana” appare nella sua vulnerabilità e risulta dipendere dalla nostra consapevolezza e dalla nostra responsabilità» (MV, § 2), ossia non è un dono da ricevere e tutelare ma un progetto da elaborare e realizzare.
Dato questo relativismo antropologico, non meraviglia che il PD progetti la costruzione di «un tessuto sociale egualitario e solidale» (MV, § 4) che offra a tutti la garanzia della “pari opportunità”, intesa non tanto come uniformità delle posizioni di partenza, quanto come «la possibilità di ciascuno di perseguire il proprio disegno di vita» (PG, § 2), indipendentemente dalle esigenze imposte dall’etica o dal bene comune.
Questo egualitarismo non riguarda solo gl’individui ma anche le comunità presenti sul territorio. Da tempo Veltroni auspica di realizzare un’Europa «multiculturale, multireligiosa e multirazziale»: un progetto oggi rilanciato dal PD favorendo e legalizzando l’immigrazione extracomunitaria, specie quella proveniente dall’area mediterranea, affinché l’Italia diventi «un luogo di mediazione, di dialogo e d’incontro tra diverse civiltà in Europa e nel Mediterraneo» (MV, § 2). Una società aperta al libero mercato dovrebb’essere anche «una società dell’accoglienza e dell’integrazione» (MV, § 5) di popoli, culture e religioni, anche se ostili come quella islamica. Pertanto i flussi migratori vanno accolti come l’epocale opportunità di realizzare una «nuova cittadinanza globale» basata sullo jus soli che estenda agli stranieri, residenti in Italia da almeno 5 anni, tutti i diritti politici prima riservati agl’Italiani, compreso quello di votare alle elezioni (solo amministrative, per ora) (PG, § 6 l).
Per realizzare la propria rivoluzione culturale, il PD punta molto sulla scuola, alla quale affida il compito di realizzare la «democrazia della conoscenza», ossia una «cultura democratica indispensabile alla convivenza in una società sempre più plurale e multiculturale» (MV, § 6). A questo scopo, il PD programma una «educazione permanente» della società basata una istruzione statale obbligatoria e inglobante che formi gli scolari dall’asilo fino alla maggiore età, con un orario scolastico esteso all’intera giornata e perfino al periodo delle vacanze (PG, § 6 b e c). A questa scuola dovranno formarsi non solo i ragazzi, ma anche i loro genitori e perfino i docenti, per adeguarsi a quella «formazione democratica permanente» che costruirà la società solidale (PG, § 7 d). La dissoluzione delle materie, dei programmi e delle competenze scolastiche e l’intercambiabilità delle discipline e dei ruoli, già previsti dalla dalla riforma del ministro Fioroni (PD), garantiranno l’assoluto ugualitarismo cognitivo. In ultima analisi, si tratta di realizzare l’espropriazione, frammentazione e collettivizzazione dell’ultimo capitale privato, quello del sapere, allo scopo di realizzare una “condivisione delle conoscenze” che favorisca la nascita dell’ “intelletto collettivo” auspicato dalla rivoluzione cibernetica di stampo neocomunista.
Inoltre il PD esprime l’intenzione di attuare l’ «autodeterminazione sanitaria» del cittadino mediante il riconoscimento giuridico del «testamento biologico» (cfr. PG, § 4 c); con esso, il potenziale malato rifiuta preventivamente di ricevere quelle cure che potrebbero salvarlo e quindi giustifica l’intenzione statale di liquidarlo nel caso diventi un paziente costoso e “inutile”, preparando così la strada alla legalizzazione dell’eutanasia. Quest’autodeterminazione prevede anche di formare i giovani alla «procreazione responsabile» – che poi si riduce alla (dis)educazione sessuale mediante pornografia e contraccezione – e prevede l’impegno di «attuare in tutte le sue parti» la legge abortista, elogiandola come «una legge equilibrata che ha conseguito buoni risultati» (PG, § 6 n).
Nel campo del diritto familiare, il PD intende promuovere il “pluralismo” delle forme di convivenza e di sessualità, favorendo non la famiglia ma le famiglie, non i due sessi ma il gender nelle sue svariate “tendenze sessuali”, non il padre e la madre ma la “plurigenitorialità” assicurata dalla fecondazione artificiale. Pretendendo di vietare ogni forma di “discriminazione” sessuale, il PD stabilisce che «vanno riconosciuti e disciplinati per legge i diritti e i doveri delle persone conviventi in unioni di fatto» (MV, § 4), «indipendentemente dal loro orientamento sessuale» (PG, § 4 d), dunque comprendendo anche le convivenze omosessuali.
Nel campo economico, infine, il PD promuove uno strano liberismo che cerca di favorire non l’economia tradizionale basata sulla proprietà privata, bensì la socializzazione del sistema produttivo gettandolo nel caotico crogiolo del “mercato globale”. In questo modo, Veltroni tenta di mettere d’accordo i fautori del solidarismo socialista con quelli dell’ “anarchia di mercato”. In concreto, il PD intende «abbattere gli ostacoli che vengono da una società chiusa, soffocata da corporativismi, che difende l’esistente e le rendite di posizione» (MV, § 1), ossia, per parlar chiaro, le varie forme di proprietà, eredità e tradizione. Ad esempio, bisogna favorire «le imprese che aprono la propria struttura proprietaria chiusa e (…) si dotano di manager indipendenti dal proprietario-imprenditore-capofamiglia e, in generale, di forme evolute di corporate governance» (PG, § 8 a); il che significa spersonalizzare, deresponsabilizzare e collettivizzare – insomma dissolvere – quel tessuto di piccola e media imprenditoria locale e familiare che costituisce la base economica italiana.
6. Una “democrazia” intollerante e persecutoria
Veltroni ha più volte dichiarato che la democrazia, dovendo basarsi sull’ «etica del dubbio» e sulla «consapevolezza della relatività delle cose», non può ammettere affermazioni o negazioni assolute che ostacolino la libera concorrenza delle idee e la piena attuazione dei “diritti umani”, compromettendo la libertà personale e la solidarietà sociale (cfr. W. Veltroni, La bella politica, Rizzoli, Milano 1995, p. 28). Di conseguenza, bisogna condannare e vietare come attentato alla democrazia ogni posizione, scelta o norma che si basa su verità oggettive, afferma certezze assolute, difende valori indisponibili o beni non commerciabili. Pertanto, secondo il PD, «la cultura dei diritti umani mira a eliminare ogni violazione della dignità e della vita della persona, rimuovendo (…) ogni discriminazione e violenza per motivi di appartenenze razziali e sociali, di schieramento politico e culturale, di religione, di genere e di orientamento sessuale» (MV, § 2).
A questo scopo, il PD prevede di far valere le norme auspicate dall’ONU e previste dalla Carta Europea varata a Nizza, e di ricorrere alla repressione giudiziaria facendo intervenire non solo la Magistratura italiana ma anche la Corte di Giustizia Europea e il Tribunale Penale Internazionale (PG, pref.), già noti per le loro sentenze liberticide in tema di religione, famiglia e sanità. Accadrà dunque che i dissidenti che protestano contro questo sopruso verranno condannati e imprigionati per “attentato alla democrazia”, come accade in Cina? O i “fanatici” colpevoli di essere «ossessionati dal bisogno di certezze e di stabilità» verranno rinchiusi in manicomio per essere curati dalla “paranoia”, come auspica un recente libro? (cfr. Paranoia e politica, a cura di S. Forti e M. Revelli, Bollati Boringhieri, Torino 2007). Si manifestano qui l’assolutismo dei relativisti e l’intolleranza dei tolleranti, espresse dal noto motto di Voltaire realizzato dalla ghigliottina giacobina: «niente libertà per i nemici della libertà».
Come tutte le forme di tolleranza che si basano sul relativismo e su una falsa idea di libertà, anche il “pluralismo” veltroniano finirà con l’imporre un regime totalitario che realizza la dittatura dell’errore, dell’arbitrio e del vizio, cadendo così sotto quella condanna della democrazia relativistica espressa più volte dai Pontefici e recentemente da Giovanni Paolo II nella enciclica Evangelium vitae (§§ 69-70). In tale contesto, «il “pluralismo” puro conciderebbe con l’anarchismo nel senso peggiore, cioè nell’esercizio garantito del diritto del più forte» (A. Del Noce, Cristianità e laicità, Giuffré, Milano 1998, p. 90), estinguendo ogni residuo di civiltà cristiana in Italia.
7. Una “educazione permanente” al caos
Come si vede, valori e programmi del PD sono volutamente vaghi, confusi e contraddittori, allo scopo d’inoculare un relativismo che diffonde incertezza e insicurezza, suscita conflitti e instabilità, conduce alla persecuzione dei cristiani, alla guerra civile e, in ultima analisi, al caos. Ma come mai un partito come il PD, che dovrebbe rassicurare e tranquillizzare gli elettori, ha presentato un programma che favorisce il caos?
Forse la spiegazione sta nel fatto che il veltroniano Manifesto dei Valori è stato elaborato da una commissione presieduta da Alfredo Reichlin e composta da noti anticristiani come Piergiorgio Odifreddi, Salvatore Veca e Giorgio Ruffolo, ed è stato redatto soprattutto dal filosofo Mauro Ceruti. Già consulente di Achille Occhetto e fra gl’ispiratori della “svolta” del PCI nel 1993, ora consulente dell’ex ministro della Pubblica Istruzione Fioroni (PD), Ceruti è un filosofo vicino al buddhismo che è stato allievo del sociologo francese Edgar Morin, del quale condivide l’adesione alla “teoria della complessità”, più nota come “teoria del caos”.
Da questa tenebrosa ideologia proviene non tanto la strana terminologia usata nei documenti programmatici del PD – ad esempio “identità collettive”, “democrazia della conoscenza”, “educazione permanente”, “cittadinanza globale” – quanto la loro impostazione relativistica e conflittuale. La “teoria del caos”, infatti, rifiuta ogni assoluto e fondamento, ogni certezza e stabilità, esalta la contraddizione e la distruzione come le maggiori forze rinnovatrici e quindi punta ad accelerare l’evoluzione culturale, sociale e biologica suscitando «catastrofi distruttrici e creatrici» capaci di abbattere le resistenze “borghesi”, rompere gli equilibri conservatori e liberare le tendenze rivoluzionarie sia nella società che nel cosmo (cfr. M. Ceruti, Evoluzione senza fondamenti, Laterza, Roma-Bari 1995, pp. 13-15; G. Bocchi e M. Ceruti, La sfida della complessità, Feltrinelli, Milano 1986). Dalla “teoria del caos” derivano in particolare alcuni punti ideologicamente qualificanti dei testi programmatici del PD.
Ad esempio, va notata la negazione del concetto di natura umana, considerato come dogmatico e autoritario in quanto separa l’uomo dalla società e dall’ “ecosistema globale”. Ne deriva la negazione dell’ “io”, ossia del soggetto umano in quanto sostanza individuale unica e irripetibile, qui ridotto a “nodo di relazioni” da sciogliere e da dissolvere, in quanto costituisce l’ultimo monarca da spodestare, l’ultima proprietà privata da espropriare, l’ultima struttura da dissolvere e l’ultima identità da cancellare. Secondo Ceruti, per diventare pienamente libero, l’uomo deve «accettare quei molti “io” che sono in ognuno» (M. Ceruti, G. Bocchi, E. Morin, Turbare il futuro, Moretti & Vitali, Bergamo 1990, p. 247) e quindi deve frantumarsi in una “identità multipla” e contraddittoria destinata a fondersi nell’ “intelletto collettivo” (cfr. M. Ceruti, Educazione planetaria e complessità umana, in Aa. Vv., Formare alla complessità, Carocci, Roma 2005, p. 22). Parallelamente, il potere politico deve promuovere una “educazione permanente” della nazione, per far sì che l’identità intellettuale, morale e sociale del popolo venga gettata nel crogiolo della conflittualità permanente per realizzare la “condivisione” e la “solidarietà” globali (cfr. G. Bocchi e M. Ceruti, Educazione e globalizzazione, R. Cortina, Milano 2004, p. 216).
Questa impostazione antiumana e anticristiana è sostanzialmente condivisa da altri sofisti, come Massimo Cacciari e Gianni Vattimo, esponenti del “pensiero debole” e ispiratori dei “poteri forti” che oggi appoggiano il PD.
8. L’ingannevole presenza di cattolici nel PD
Da queste considerazioni, appare evidente che per un cattolico, ma anche per un semplice benpensante illuminato dal buon senso e mosso da rette intenzioni, appare impossibile aderire ai “valori”, approvare il programma, collaborare alla politica del PD. In tale contesto, conta ben poco la percentuale della presenza cattolica nelle liste elettorali di oggi, o anche nei ministeri governativi di domani. Conta semmai valutare la coerenza di questi esponenti cattolici, la loro fedeltà alla dottrina sociale cristiana, il loro impegno nel difendere i diritti di Dio e della Chiesa nella politica, la loro capacità di dimettersi piuttosto che tradire rendendosi complici d’iniziative anticristiane.
Orbene, la presenza dei cattolici nel PD è scarsa non solo per quantità ma anche per qualità, essendo costituita da personalità inserite col ruolo di richiamo, di avallo e di copertura in favore del partito. La componente cattolica nel PD svolge un ruolo simile a quello un tempo svolto dagl’ “indipendenti di sinistra” all’interno del PCI: ossia un ruolo decorativo e tranquillizzante ma non certo decisivo. Lo dimostra un grave precedente: il 2° Governo Prodi è caduto non per l’intervento di parlamentari cattolici indignati per la sua politica antifamiliare e anticristiana, ma perché affossato da un intervento della Magistratura su un ministro accusato d’illegalità. Del resto, noti parlamentari cattolici hanno ammesso che, pur chiedendo di essere votati dai fedeli, si sono candidati nel PD e vi faranno politica «in quanto democratici e non in quanto cattolici» (cfr. ad esempio Rosy Bindi su Avvenire, 26-2-2008).
Veltroni ha precisato che, proprio in virtù del “pluralismo” dei valori, nel suo partito «non ci sia mai una disciplina imposta» (Oggi, cit., p. 26). Alcuni cattolici hanno interpretato questa frase illudendosi che il PD non imporrà ai suoi membri una linea obbligatoria e vincolante nel campo dei temi “eticamente sensibili”. Ma lo stesso Veltroni ha ripetuto più volte che l’unica cosa che tiene unito il suo variopinto partito è un programma da realizzare senza obiezioni che imporrà inevitabilmente scelte ineludibili. La eventuale divergenza sulla teoria (ossia sui valori, ritenuti relativi e quindi opinabili) non potrà compromettere l’unione nella prassi (ossia nelle scelte programmatiche, ritenute assolute e quindi vincolanti sub gravi). Pertanto, i parlamentari cattolici non potranno ostacolare l’orientamento del PD, ad esempio nel campo della bioetica, e dovranno limitarsi ad esprimere il loro dissenso dall’orientamento sollevando una personale (e inefficace) obiezione di coscienza e votando contro le direttive di Veltroni… se ne avranno il coraggio.
9. Conclusione
Dal suo programma e dalla sua strategia, insomma, Veltroni ci si rivela non tanto come un illusionista furbo e pragmatico, quanto come un alchimista del caos. Stando così le cose, se le elezioni daranno un risultato di parità elettorale o d’ingovernabilità, come potrebbe il centrodestra osare di formare un patto costituzionale o un “governo di salvezza nazionale” con un partito che tenta di avvelenare e uccidere l’anima della nostra nazione?
Oggi ci si preoccupa dell’inquinamento biologico, si protesta per le scorie nucleari o per l’immondizia che va accumulandosi in alcune regioni italiane. In verità bisognerebbe piuttosto preoccuparsi e protestare per l’inquinamento ideologico e morale, favorito dai mass-media progressisti, che avvelena le nuove generazioni; l’accumularsi dell’immondizia fisica è solo una eloquente immagine dell’accumularsi dell’immondizia morale che corrompe e opprime la nostra patria impedendone la rinascita.
La principale questione dell’Italia contemporanea non è quella del sistema economico o elettorale o costituzionale, bensì è la questione della rinascita, riscossa e restaurazione culturale, morale e soprattutto religiosa. Se vuole risollevarsi dalla crisi, l’Italia deve rifiutare la falsa alternativa tra l’immobilismo e il caos e fare il contrario di quello che le suggerisce Veltroni: deve cioè ritornare alle proprie radici, ricuperare la propria identità, riprendere la propria missione storica, che consiste innanzitutto nel propagare la civiltà della retta ragione, del diritto naturale e soprattutto della Fede cristiana, e quindi nel «difendere per tutta l’Europa il patrimonio religioso e culturale innestato a Roma dagli Apostoli Pietro e Paolo» (Giovanni Paolo II, Lettera ai vescovi italiani, 6-1-1994). Questo presuppone che nazione, ceti, istituzioni e Stato tornino a rispettare l’eterna Legge riassunta nei Dieci Comandamenti, ricorrendo a Dio come Creatore dell’uomo e Legislatore della società, e più precisamente a Gesù Cristo come Redentore, Santificatore e Re non solo degl’individui ma anche della famiglia e delle altre istituzioni sociali.
Ma questa rinascita, riscossa e restaurazione potrà riuscire vittoriosa solo se il mondo cattolico italiano, ripudiando l’illusione di poter conciliare “antico” e “moderno”, Tradizione e Rivoluzione, dissiperà gli equivoci e romperà i compromessi, ponendosi con coraggio alla guida di una crociata spirituale, morale e civile – già auspicata dal prof. Plinio Corrȇa de Oliveira – per liberare il popolo dalle forze settarie che lo mantengono soggiogato con l’inganno, la seduzione e il ricatto. Parallelamente le componenti sociali della nostra nazione, finora strumentalizzate da una falsa rappresentanza politica, debbono tornare a far sentire la loro voce e il loro peso intervenendo direttamente in politica e favorendo la creazione di un’autentica classe dirigente che, rifiutando di svendersi nelle contrattazioni e nei compromessi partitici o sindacali, si consacri con lungimiranza, responsabilità e spirito di sacrificio al bene comune della patria, e particolarmente a quel sommo bene comune che è costituito dalla tradizione cristiana ereditata dai nostri avi e tuttora difesa dalla istituzione familiare e dalla Chiesa. A queste forze residue, a questo “resto d’Israele”, rivolgiamo il nostro accorato e disinteressato appello. A chi s’impegnerà nella lotta con fiducia e coraggio, Dio assicura il suo aiuto vittorioso, col quale è possibile ottenere tutto (cfr. Mc., 10, 27), anche la restaurazione della Civiltà cristiana promessa dalla Madonna a Fatima.
Roma, 28 marzo 2008 - S. Giovanni da Capistrano
Centro Culturale Lepanto
Il Presidente Fabio Bernabei
Il Vicepresidente Guido Vignelli
Centro Culturale Lepanto, Roma - Posta: C. P. 6080, Roma Prati - tel. 347.2282760 - http://www.lepanto.org/ - email: lepanto@lepanto.org - Conto corrente postale n. 47952007
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Appendice:
Le premesse ideologiche del “Manifesto dei Valori” del PD,
fattore d’instabilità, caos e disperazione
Il volto sorridente di Walter Veltroni, già discepolo dell’ex segretario del PCI Achille Occhetto, già gerarca dell’organizzazione giovanile del PCI e poi arrivato ad essere vicesegretario del Partito di via delle Botteghe Oscure, già direttore del quotidiano “L’Unità”, afferma di non essere mai stato comunista. Altrettanto decisamente affermerebbe, se accusato di voler sprofondare l’Italia nel caos, di volere al contrario un futuro di stabilità e prosperità per il nostro Paese.
Ma anche qui riscontreremmo una contraddizione, evidenziata proprio dal Manifesto dei Valori del Partito Democratico, il testo che secondo Veltroni pone i fondamenti del programma e dell’identità del PD. A capo della commissione che ha redatto il Manifesto è stato posto come presidente Alfredo Reichlin, iscrittosi nel Partito Comunista ai tempi di Stalin (1946) e che da allora ha seguito tutte le trasformazioni del comunismo italiano (togliattismo, eurocomunismo berlingueriano, PDS, DS ed oggi PD).
Più sostanziale è stato però il ruolo del relatore del Manifesto dei Valori del Partito Democratico, il professor Mauro Ceruti, il quale è noto per essere un teorico della complessità e del caos (1), studioso di Jean Piaget e discepolo di quel maestro della teoria del caos che è Edgar Morin, insieme al quale sostenne le linee guida della segreteria Occhetto, fino a che costui non fu cacciato dal suo posto ad opera di un Partito intimorito dalle conseguenze della sua politica.
I teorici del caos e della complessità sono coloro che postulano come elemento essenziale dell’evoluzione della società e dell’universo il manifestarsi di “catastrofi” “nel senso attribuito al termine da René Thom” (2), dando una nuova veste ad “una problematica che Marx avrebbe ricordato nel primo libro del Capitale a proposito della trasformazione del valore in capitale, e che poi sarebbe stata ripresa e generalizzata nell’Anti-Dühring di Engels e largamente ricorrente nella sua Dialettica della natura” (3); il Ceruti, in particolare, esalta come motore dell’evoluzione, e delle innovazioni più radicali, le grandi catastrofi: “Esse sono distruttrici e creatrici nello stesso tempo” (4) e intende le “catastrofi (nel senso tecnico, come anche nel senso più letterale del termine)” (5) non solo a livello naturale perché il superiore livello socioculturale si limita all’astrazione di ciò che viene dal basso (6).
Il professor Mauro Ceruti, relatore della commissione, è stato anche quello che ha dato forma e contenuti al Manifesto, come provano i termini usati nel testo ed il tono generale del medesimo, che ritroviamo nelle opere di Edgar Morin e dei suoi discepoli italiani, quali appunto il Ceruti e Gianluca Bocchi.
Ad esempio le inquietanti virgolette apposte al termine “natura umana” al § 2 n. 3 del Manifesto ci rimandano all’avversione espressa dal Ceruti verso “la stessa idea di natura umana” (7): egli infatti si rifà ad “un’epistemologia, che chiameremo costruttivista” (8), perché “essa veicola un concetto-chiave: il Sé non è una sostanza né si riferisce a una struttura determinata, ovvero non esiste un Sé unico ed irripetibile” (9).
Da questo concetto chiave il relatore del Manifesto dei Valori del PD deduce che “il compito urgente è di aiutare l’individuo a percepirsi come un’identità multipla, aiutandolo nel contempo a percepire gli altri come identità altrettanto multiple.” (10). Spiegazione: se è falsa la concezione cristiana di un’anima individuale, di un Sé unico ed irripetibile, il quale ha attributi ed accidenti come essere uomo o donna, italiano o straniero, sano o malato, tifoso sportivo o no, ecco che ciascuno di noi diventa una “soggettività” (non un soggetto) ossia un nodo di relazioni (con la comunità sessuale maschile e femminile, con la comunità nazionale ed internazionale, con la comunità sportiva o con quella ospedaliera) ed ognuna di queste relazioni, quali essere frequentatore di un bar o di un altro, di una sala da bocce o di un campo da tennis, diventa una delle identità diverse incrociate nello stesso nodo o “soggettività”, ove si connettono “identità di tipo spaziale (quali sono l’appartenenza ad uno Stato, a una regione, a un continente, a una città) e identità di tipo non spaziale, identità puramente individuali e identità collettive, identità antiche e identità nuove.” (11).
Queste relazioni sono dette identità (“identità umane individuali e collettive” recita il Manifesto del PD al § 2) per affermare che senza di esse non abbiamo diritto ad essere considerati, non esistiamo più allo stesso modo di un nodo che scompare se togliamo via i fili che si incrociavano.
Il Manifesto dei Valori del PD assume quindi una posizione radicalmente (ossia in radice) abortista ed eutanasista, in quanto presuppone che non esiste una natura umana unica ed irripetibile, indipendente dall’avere relazioni con gli altri, persino con la madre che lo ospita e lo nutre nell’utero: i sostenitori dell’aborto infatti sostengono che se perde l’unica relazione che un feto può avere, l’amore della madre, quel feto non ha più diritto ad esistere, così come senza fili non esiste il nodo; ed i sostenitori dell’eutanasia sostengono che chi non è più in grado di avere relazioni accettabili con il prossimo (perché in coma, etc.) non ha più le sue identità multiple e perciò la “soggettività” scompare, perde il diritto all’esistenza.
La cd. “democrazia della conoscenza” che troviamo citata nel Manifesto del PD ai §§ 2 e 6 è pur essa un concetto caro al Morin ed al suo discepolo Ceruti che già nel 1990 si ponevano “il problema storico chiave della democrazia cognitiva” (12) ed affermavano “la necessità di una presa di coscienza politica della necessità di operare per una democrazia cognitiva” (13), nel quadro di un rifiuto della “superspecializzazione, della separazione e dello spezzettamento del sapere” (14).
La “democrazia cognitiva” è a favore dell’”intelletto collettivo” ed è contro la proprietà privata del sapere, contro “il diritto di acquisire un sapere specializzato facendo gli studi ad hoc” (15), mentre invece afferma che “la razionalità e la scientificità chiedono di essere ridefinite e complessificate” (16) allo scopo di risolvere “il vecchio problema posto da Marx nella terza tesi su Feuerbach: chi educherà gli educatori?” (17).
Per capire come dovrebbe funzionare la società dell’”intelletto collettivo” (18) o del “general intellect” per usare il termine di Marx (19), basteranno le poche righe ove un altro teorico della complessità critica una università come Oxford o Cambridge, dove il professore conosce benissimo la sua materia, lo studente un poco o molto meno ed il bidello per nulla, mentre invece esalta come esempio di intelligenza collettiva una rosticceria ove ogni dipendente ruota a turno fra il lavoro in cucina, al banco ed alla cassa e perciò tutti sanno le stesse cose, lì esiste la perfetta democrazia della conoscenza (20).
E’ evidente infatti che nessuna condivisione delle conoscenze può innalzare al livello di Aristotele chi non ne è mentalmente capace, perciò è d’obbligo per i democratici della conoscenza abbassare l’intelligenza collettiva al minimo livello comune.
Caotico è il significato dato ai termini “sapere, intelligenza” citati nel § 4 n. 7 del Manifesto del PD perché caotica è la prospettiva sociale e lavorativa indicata nello stesso capoverso a cittadini privati di una identità stabile e invitati ad accettare “flessibilità e frequenti cambiamenti nel corso della vita lavorativa”.
Se il cittadino, uomo o donna, disegnato dal Manifesto dovrebbe rassegnarsi a passare da un periodo di lavoro come avvocato ad un periodo come benzinaio e poi da un periodo come medico chirurgo ad un periodo come panettiere, diventa fuorviante, per il professor Ceruti, una scuola che curi lo “sviluppo di competenze ben definibili e precisabili” (21).
Al contrario la scuola dovrà essere costretta a fare “una coraggiosa inversione di rotta rispetto alle ‘missioni’ del suo passato” (22) ed orientarsi alla cd. “educazione permanente” citata nel Manifesto, § 6 n. 2, ossia quel “percorso educativo e formativo che duri per l’intera vita lavorativa”, citato nel § 5 n. 2 del Manifesto.
Spiegazione: se il lavoratore deve passare da un periodo come fiorista ad uno come notaio e poi come magazziniere e poi come commercialista e poi come dentista è ovvio che non necessita di “competenze ben definibili”, ma deve in continuazione imparare un minimo di nozioni sul lavoro del momento, soddisfacendo così “complessità” e “democrazia della conoscenza”.
Quanto agli ordini professionali, discendenti delle gloriose Corporazioni che fino alla fine del XVIII secolo concorsero alla prosperità dell’Europa cristiana ed alla sua preminenza nel mondo, nati per essere fattori di controllo e garanzia sulla qualità delle prestazioni rese dai loro membri difendendo insieme i principî di autonomia e di autorità nel mondo economico ove l’avidità personale tende all’anarchia e al danno reciproco, contro di essi il caotico relatore promette, nel § 4 n. 5, “uno scontro duro”.
L’ “educazione permanente” dovrebbe essere inoltre lo strumento per vincere in noi “la paura di accettare quei molti ‘io’ che sono in ognuno” (23), secondo il disegno di Morin, maestro di pensiero del relatore del Manifesto del PD: “La riforma dell’insegnamento deve condurre alla riforma di pensiero” (24), ossia il tentativo di “realizzare intelligenze collettive e connettive” (25).
Anche secondo altri teorici del caos l’educazione permanente deve servire a schiacciare ogni identità individuale stabile e definita: ”Qual è il rischio per un individuo come per un’impresa? Concepire la propria identità come un bene da difendere dall’assedio altrui, da iperproteggere a costo di trasformarla in un feticcio. I meccanismi dell’apprendimento fungono da anticorpi a tale sclerotizzazione” (26). Il cittadino dovrà essere quindi costretto ad una “perenne metamorfosi (o apprendimento, il che è lo stesso)” (27).
Lo stesso professor Ceruti ammetteva comunque, ancora nel 2005, che “il passaggio da una visione istruttiva ad una costruttiva della formazione è una transizione talmente radicale e difficile che le sue implicazioni non sono ancora comprese appieno nemmeno sul piano educativo, e tantomeno su quello politico e sociale” (28).
Caotica è anche la prospettiva che il Manifesto apre alla nostra Patria, basata nel § 5 n. 6, su un’”autonomia” ed un “federalismo” a loro volta fondati sulla “autorganizzazione”, concetto che è il vero totem dei teorici del caos e la principale caratteristica della “fenomenologia caotica e/o complessa” (29). Tale caotica visione è ovviamente estesa all’Unione Europea.
E’ bene quindi chiedersi cosa intende il Manifesto dei Valori del Partito Democratico per “democrazia forte” (§ 1 n. 6 e § 3 n. 1) o per “scontro duro” (§ 4 n. 5).
Grave errore sarebbe anche quello di illudersi che la radicalità delle idee espressa nel Manifesto trovi freni e contrappesi nell’alleanza del PD con gli imprenditori ed i finanzieri più aperti alle teorie del caos e del mercatismo (l’auto-organizzazione del mercato, versione economica delle teorie della complessità): un intellettuale italiano che nessuno può accusare di moderatismo come il professor Antonio (Toni) Negri ha esplicitamente affermato che la condizione necessaria al successo della “insurrezione proliferante di proposte democratiche e di solidarietà globale (…) postmoderna” (30) è l’alleanza tattica con le élites dell’aristocrazia finanziaria ed imprenditoriale multinazionale (31).
Dove porterà l’Italia questo itinerario di riforme?
Impossibile qualsiasi previsione nella prospettiva culturale caotica scelta da Veltroni per il Manifesto dei Valori del suo partito. Infatti, “una delle maggiori acquisizioni della teoria del caos è che tale imprevedibilità non è dovuta alla mancanza di informazioni sul sistema stesso, non può essere colmata dall’acquisizione di nuove informazioni, bensì è una proprietà intrinseca” (32).
Da parte sua il professor Mauro Ceruti afferma crudamente: “Sta emergendo la soglia di un’età nuova. Per poter attraversare questa soglia, siamo costretti a farci carico di quanto nell’età moderna si è cercato di dilazionare, siamo spinti ad affrontare e a vivere gli eventi in tutta la loro crudezza e in tutta la loro potenza, creatrice e distruttrice, senza confidare nel fatto che qualche ordine nascosto o qualche senso prestabilito li possa in qualche modo disinnescare.” (33).
Al di là degli slogan politici di propaganda non può esservi un orizzonte di speranza in chi si è formato umanamente e culturalmente nella prospettiva marxista, incapace di trascendenza rispetto alla materia, che è cieca e senza volontà.
Lo stesso Engels, scrivendo sotto la supervisione di Marx l’Anti-Dühring, lodava nel socialista utopista Fourier la mancanza di fede nel progresso necessario dell’umanità: “Come Kant introdusse nella scienza naturale la futura distruzione della terra, così Fourier introduce nel pensiero storiografico la futura distruzione dell’umanità” (34).
In un libro a più mani sul tema dell’auto-organizzazione come fondamento delle relazioni umane, presentato dal professor Mauro Ceruti, leggiamo queste righe: “Suppongo che si dovrebbe ammettere che (…) un mondo del caos potrebbe sembrare abbastanza privo di speranza dopo un po’. Ma (…) penso che per me stesso preferirei il mondo senza speranze” (35).
Note all’Appendice
1) cfr. M. Ceruti, Evoluzione senza fondamenti, Roma-Bari, Laterza, 1995, pp. 13-15.
2) C. S. Bertuglia, F. Vaio, Non linearità, caos, complessità. Le dinamiche dei sistemi naturali e sociali, Torino, Bollati Boringhieri, 2003, p. 302; cfr. M. Cini, Prefazione, in T. Tonietti, Catastrofi. Il preludio alla complessità, Bari, Ed. Dedalo, 2002, pp. 10-14.
3) M. Ceruti, La danza che crea, Milano, Feltrinelli, 1989, p. 37.
4) M. Ceruti, Evoluzione senza fondamenti, cit., p. 36.
5) op.cit., p. 29.
6) M. Ceruti, G. Bocchi, Disordine e costruzione, Milano, Feltrinelli, 1981, p. 255.
7) M. Ceruti, G. Bocchi, E. Morin, Turbare il futuro, Bergamo, Moretti & Vitali, 1990, p. 250.
8) M. Ceruti, La danza che crea, cit., p. 13.
9) E. Gattico, Costruttivismo e scienze dell’uomo: la psicologia genetica, in E. Gattico, G. P. Storari, pref. di M. Ceruti, Costruttivismo e scienze della formazione, Milano, Unicopli, 2005, p. 129.
10) M. Ceruti, Educazione planetaria e complessità umana, in M. Callari Galli, F. Cambi, M. Ceruti, Formare alla complessità, Roma, Carocci, 2005, p. 22.
11) ibidem.
12) M. Ceruti, G. Bocchi, E. Morin, Turbare il futuro, cit., p. 259.
13) ibidem.
14) op.cit., p. 258.
15) ibidem.
16) op.cit., p. 260.
17) op.cit., p. 261.
18) cfr. P. Lévy, L’intelligenza collettiva., Milano, Feltrinelli, 1996.
19) K. Marx, Lineamenti fondamentali di critica dell’economia politica (Grundrisse), Torino, Einaudi, 1983, p. 719.
20) cfr T.A. Stewart, Il capitale intellettuale, Milano, Ponte alle Grazie, 1999, p. 124.
21) M. Ceruti, Educazione planetaria e complessità umana, cit., p.17.
22) op.cit., p.21.
23) M. Ceruti, G. Bocchi, E. Morin, Turbare il futuro, cit., p. 247.
24) E. Morin, La testa ben fatta, Milano, R. Cortina, 2000, p.13.
25) G. Bocchi, M. Ceruti, Educazione e globalizzazione, Milano, R. Cortina, 2004, p. 216.
26) R. Di Caro, “L’ebreo globale”, in “D”, suppl. a “La Repubblica”, 17-10-2000.
27) P. Lévy, L’intelligenza collettiva, cit., p. 37.
28) M. Ceruti, Prefazione, in E. Gattico, G.P. Storari, Costruttivismo e scienze della formazione, cit., p. 14.
29) C. Galli, Genealogia della politica, Bologna, Il Mulino, 1996, p.851.
30) A. Negri, L’Europa e l’Impero, Roma, manifestolibri, 2003, p.165.
31) ibidem.
32) P. Bellavite, G. Andrighetto, M. Zatti, Omeostasi, Complessità e Caos, Milano, Franco Angeli, 1995, p. 10.
33) M. Ceruti, Evoluzione senza fondamenti, cit., p. 84.
34) F. Engels, Anti-Dühring, in K. Marx, F. Engels, Opere, vol. XXV, Roma, Editori Riuniti, 1974, p. 250.
35) V. Kenny, Anticipando l’autopoiesi, in A. L. Goldsmith, a cura di, pres. di M. Ceruti, L’auto-organizzazione in psicoterapia, Milano, Guerini, 1995, p. 106.
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